Il manifesto politico di Vladimir Vladimirovic Putin: Da perfetto sconosciuto a leader mondiale dal pugno di ferro.
Quando Vladimir Putin apparve per la prima volta sullo scenario internazionale agli inizi del 2000 era un personaggio quasi del tutto sconosciuto alla comunità internazionale. Ma fu nel 2007, dopo il suo intervento al Munich Security Conference nel 2007, che il leader russo si pose all’attenzione dei leader occidentali respingendo fermamente quelle garanzie di sicurezza poste in essere dopo lo scioglimento dell’URSS e che oggi continuano ad essere l’argomento principale della crisi con l’Ucraina e l’Occidente.
I due decenni successivi hanno lasciato pochi dubbi sull’agenda putiniana, con la quale ha governato la Federazione Russa (con il pugno di ferro) senza mostrare scrupoli nell’invadere le repubbliche ex URSS e spingendo l’Europa sull’orlo di una guerra catastrofica.
LE RADICI DELLA POLITICA ESTERA DI PUTIN
Dal 1963 la città di Monaco (Germania) ospita una delle conferenze sulla sicurezza più significative dei nostri tempi: la Munich Security Conference. Dal 18 al 20 febbraio u.s., su richiesta del Cancelliere tedesco Scholz si è tenuta una sessione straordinaria della Conferenza riservata ai leader del G7, nella quale sono state affrontate le problematiche della crisi ucraina. Il grande assente alla Conferenza, principale protagonista della crisi che minaccia di deflagrare in uno scontro armato di dimensioni globali, è stato il Presidente russo Vladimir Vladimirovic Putin, il quale, 15 anni prima in un discorso a tutta la Conferenza, espresse quello che può essere considerato il suo manifesto di politica estera, pronunciando un discorso in cui descrisse nel dettaglio la profonda insoddisfazione della Russia per l’ordine mondiale, recitando un lungo elenco di recriminazioni sul dominio statunitense degli affari globali, inclusi molti dei temi che avevano messo a dura prova le relazioni tra il Cremlino e gli Stati Uniti durante il suoi primi sette anni di mandato: tra questi vi era l’espansione della NATO nei paesi baltici e la percezione in Russia che l’Occidente avesse sostenuto gruppi rivoluzionari con il compito di rovesciare i governi nell’ex sfera di influenza di Mosca. In tale occasione, pertanto, Vladimir Putin avvertì tutti i partecipanti che la Federazione Russa non sarebbe stata più disposta a giocare ruoli secondari, pretendendo di essere parte di un mondo multipolare, alla pari delle nuove potenze emergenti, non subordinata agli Stati Uniti dichiarandosi aperta a rapporti di partenariato con l’Occidente in tutte le sfere, non solo nella sicurezza.
GLI SVILUPPI DELLA MUNICH SECURITY CONFERENCE
L’intervento di Putin nel 2007 provoco’ sentimenti di perplessità e preoccupazione tra tutti i partecipanti e contrariamente all’ottimismo qualificato che ancora prevaleva sulla Russia, dalle parole profferite del presidente russo apparve l’ombra di chi volesse indirizzare l’Occidente verso una nuova guerra fredda. Appare il caso di rammentare che in quel momento storico, la Russia era appena emersa dalle rovine dell’Unione Sovietica con l’aiuto di Stati Uniti ed Europa che si erano profusi per anni a lavorare per integrarla nel contesto europeo, fornendole assistenza finanziaria e tecnica.
Tutti gli stati europei, inclusa Russia, Stati Uniti e Canada, firmarono molteplici accordi impegnandosi a sostenere i principi chiave, compreso l’astenersi dalla minaccia o dall’uso della forza ed affermando il diritto di libera scelta da parte di ogni Stato nell’adozione di propri sistemi politici ed economici, oltre alle proprie alleanze di sicurezza. In particolare, Mosca firmò il Budapest Memorandum del 1994, con il quale si garantiva la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina con “i confini internazionali in vigore in quel momento”, in cambio della rinuncia, da parte Ucraina, della terza riserva nucleare più grande del mondo. Nel 1997, la NATO e la Russia firmarono il “Founding Act” con il quale venne istituito un Consiglio congiunto permanente individuando una serie di aree in cui l’alleanza occidentale e la Russia avrebbero lavorato insieme per rafforzare la sicurezza.
Le cose iniziarono a cambiare tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000. La Russia non era ne soddisfatta della gestione del conflitto in Kosovo, ne della decisione del Presidente George W. Bush di invadere l’Iraq nel 2003. Putin, diventato presidente della Federazione Russa nel 2000, dichiaro’ da subito la propria intenzione di voler ricollocare la Russia tra le potenze mondiali: all’epoca delle dichiarazioni, le sue parole vennero interpretate favorevolmente (sia da molti russi che dagli osservatori internazionali – inclusi alcuni elementi dell’amministrazione Bush).
Sulla scia di un decennio di ciò che molti videro come capitalismo da selvaggio “west”, corruzione e fallimenti imperversavano nell’ordine pubblico della Federazione Russa, pertanto Putin si configurò come colui che potesse avviare la dovuta azione correttiva, rafforzando la stabilità ed avviando un processo di modernizzazione della Russia che non creasse troppi danni alla democrazia. Con il senno di poi, si è potuto constatare che per “grandezza russa”, l’impegno di Putin non si sarebbe limitato al rafforzamento dello stato di diritto, alla costruzione di una economia salda ed al ricollocamento della Russia tra le grandi potenze globali.
Dopo la sua nomina a Presidente, avviò metodicamente la ricostruzione delle forze armate, la modernizzazione e l’espansione dell’arsenale nucleare, oltre al rilancio ed all’espansione dei servizi e delle attività di intelligence. Questo di per sé poteva non essere necessariamente un problema, tranne per il fatto che Putin iniziò a smantellare la nascente democrazia russa: acquisendo il controllo dei media, consolidando le industrie statali e minando l’opposizione al suo partito “Edinnaia Russia” (Russia Unita) e contenendo gli oligarchi degli anni ’90, sostituendoli con uomini di fiducia (ponendo in essere qualcosa di simile al sistema sovietico di controllo del Partito Comunista).
Putin alle parole fece seguire i fatti, smantellando le strutture progettate per il mantenimento della pace in Europa create nel post guerra fredda: infatti, Mosca annunciò formalmente nel luglio 2007 la propria volontà di non aderire più al “CFE Treaty” (Trattato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa) e continuo’ a rifiutare il principio del consenso di nazione ospitante per la presenza di truppe russe in Georgia e Moldavia, oltre ad ignorare i limiti della Convenzione di Vienna sulla concentrazione, le esercitazioni e la trasparenza delle truppe.
Nel 2008, la Russia invase la Georgia, sostituendo le proprie forze di pace – già presenti in Abkazia ed Ossezia del Sud – con personale militare regolare e guidando i propri carri armati verso la capitale georgiana. Sei anni dopo, dopo aver preso il controllo della Crimea ed orchestrato una annessione illegale, gli agenti russi proseguirono con attacchi a bassa intensità in Ucraina orientale fino ad occupare parti del Donbas fino ad oggi. Successivamente la Russia violò anche l’ ”INF Treaty” ed iniziando anche a negare le dovute autorizzazioni per i sorvoli richiesti dal“Treaty on Open Skies”.
Fino al 2007, l’amministrazione Bush aveva lavorato per provare a sviluppare un rapporto stabile e produttivo con la Russia; pertanto, l’allora Segretario alla Difesa USA, Robert Gates, scelse parole di velluto (e non dure) per offrire la risposta di Washington alle parole del Presidente russo nelle quali aveva invocato la guerra fredda più volte, sottolineando come tale discorso lo avesse riempito di nostalgia rammentandogli tempi passati in cui lui, come lo stesso Putin, aveva lavorato nell’organizzazione di intelligence e precisando come “una guerra fredda fosse bastata”.
L’ottimismo di quell’epoca, oggi potrebbe apparire pura ingenuità, ma in realtà, tra molti dei leader politici di Stati Uniti ed Europa, si era radicata la sensazione (e la speranza) che la Russia potesse essere radicata nel sistema Occidentale, anche alla luce degli importanti sviluppi raggiunti in tal senso tra il 1991 ed il 2007: dopo gli esiti della conferenza ed il termine del mandato di Bush, tale ottimismo non poteva considerarsi più giustificabile.
Il presidente Barack Obama diede il via alla sua presidenza con un reset unilaterale della politica russa, come se USA ed Occidente fossero responsabili delle trasgressioni putiniane; quindi Donald Trump, nel corso del proprio mandato presidenziale, si rifiutò esplicitamente di criticare Putin, nonostante la sua amministrazione inasprì alcune politiche contro la Russia. Infine, Joe Biden ha cercato una relazione “stabile e prevedibile” con la Russia ed ha tenuto una serie di summit e video call con Putin, al fine di disinnescare eventuali minacce russe contro l’Ucraina e l’ordine di sicurezza europea.
Si può affermare senza alcun dubbio, che nel corso degli anni Putin ha perfezionato le proprie capacita’ mediatiche e di comunicazione, acquisendo una notevole capacità nel dare forma ad una narrativa pubblica favorevole. Il discorso di Monaco non era chiaramente diretto ad acquisire il favore del pubblico fermamente pro-transatlantico della conferenza, ma era mirato ad ottenere il consenso di quel pubblico europeo che poteva essere solidale alle accuse rivolte verso gli Stati Uniti per aver presumibilmente minacciato la Russia: un playbook che l’Unione Sovietica aveva utilizzato per contrastare il dispiegamento di missili Pershing in Germania negli anni ’80.
Putin e la sua macchina di propaganda usarono la stessa tattica: enfatizzare il risentimento per sostenere il revisionismo storico e fornire copertura per la riaffermazione del controllo del Cremlino sui territori che considera di diritto propri. Ed ora, anche più che nel 2007, si sta assistendo all’accettazione in Europa e negli Stati Uniti della visione russa secondo cui l’allargamento della NATO (uno strumento progettato per promuovere l’unita’ europea), sia la vera fonte delle minacce della Russia contro l’Ucraina oggi, piuttosto che il desiderio di Putin di ricostruire una Russia più grande, autoritaria in patria ed aggressiva all’estero.
CONCLUSIONI
Il discorso di Putin fu uno shock per tutti coloro che si erano adoperati per l’inclusione di Mosca in un sistema di stabilità globale post guerra fredda, vivendo nell’illusione che tale progetto fosse realizzabile. A distanza di circa quindici anni, l’Ucraina si è trovata circondata da un contingente militare russo costituito da oltre 140.000 uomini pronto ad invadere il suo territorio.
Chiaramente tale situazione non avrebbe dovuto sorprendere gli addetti ai lavori, in quanto Vladimir Putin aveva chiarito quella che era la sua visione politica nel discorso del 2007, con il quale aveva esternato quello che era il suo desiderio di voler garantire l’autonomia della Russia in politica estera, anche con l’uso delle Forze Armate.
Appare quasi sconcertante come Stati Uniti ed Europa, nonostante le dichiarazioni di Putin e le numerose azioni assertive poste in essere dalla Russia nel corso di tutto il suo mandato presidenziale, fossero comunque convinti di poter in qualche modo collaborare con il Cremlino a livello strategico. All’indomani della decisione di Mosca di riconoscere l’indipendenza delle due repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk (intero Donbass) in Ucraina e l’implementazione di funzioni di pace da parte delle forze armate della Federazione Russa, l’Occidente dovrebbe comprendere – per quanto tardivamente – come orientare il pensiero della comunità transatlantica dalle comprensibili ma fallimentari speranze di un più ampia cooperazione con la Russia, e verso la costruzione di una posizione di forza a lungo termine per indebolire il ruolo di Putin.
Le “proposte di sicurezza” presentate dal Cremlino a Stati Uniti e NATO nel mese di dicembre u.s. con le quali è stato ufficializzato il rifiuto inequivocabile di qualsiasi futura espansione della NATO verso est, nonché il ritiro degli schieramenti della NATO nell’Europa orientale.
Le continue accuse di Putin secondo cui l’Ucraina sono semplicemente lo “strumento” della NATO per contenere la Russia, anche se rimane lontana dall’appartenenza all’Alleanza Atlantica, dimostrano come i timori che Putin espresse a Monaco continuino a guidare l’attuale politica estera russa.
Alla luce di questa conoscenza, i politici americani dovrebbero agire per una stabilità europea a prova di futuro dalle sfide russe, partendo dal presupposto che le opinioni pronunciate da Putin a Monaco siano profondamente radicate nelle prospettive estere della Russia, ma che il bordo tagliente della politica estera russa possa essere attenuato attraverso la deterrenza e la negoziazione.
Al momento sembrerebbero esistere delle proposte (leggi QUI) per l’adozione di un approccio realistico nei confronti della Russia o per l’identificazione di nuovi strumenti utili per respingere l’aggressione russa.
Infine, i politici occidentali dovrebbero essere pronti a lavorare con la Russia per sviluppare garanzie di sicurezza, svolgendo eventuali attività NATO congiunte in Ucraina ed in Georgia, dimostrando allo stesso tempo la propria solidità e la capacità di imporre dure sanzioni economiche alla Russia qualora dovesse perturbare ulteriormente la stabilità europea con azioni offensive.
Questo dovrebbe essere seguito a medio e lungo termine con un dialogo serio in settori di interesse reciproco, come lo sviluppo di una nuova architettura strategica per il controllo degli armamenti costruita tenendo presenti nuovi sistemi di consegna e questioni di difesa missilistica.
La politica statunitense, perennemente reattiva alle tendenze di vecchia data della politica estera russa, sicuramente sarà pronta a lottare per il mantenimento di una iniziativa atta a prevenire future sfide alla stabilità europea.