Amaro risveglio. Il progetto I-CAN, dieci paesi accomunati da un obiettivo: estirpare la ‘Ndrangheta in tutto il Pianeta.
Ferragosto 2007, siamo a Duisburg, tranquilla cittadina tedesca. Sono le due del mattino quando un gruppo di persone esce dal ristorante italiano “Da Bruno”. Erano nel locale per festeggiare il 18° compleanno di Tommaso Venturi. Partono i primi colpi di mitraglietta, ne verranno esplosi più di 70 compreso il colpo di grazia alla testa diretto a ognuna delle vittime. Sei le persone che rimangono uccise. L’ondata d’odio viene da lontano, San Luca in Calabria, e dura da ormai più di 15 anni. La mafia calabrese raggiunge gli onori della cronaca sconvolgendo i tedeschi che la consideravano un’organizzazione di secondo livello che operava a livello locale.
Adesso non è più solo il bambino ad accorgersi che il re è nudo e le parole del procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, cominciano ad essere ascoltate non solo nel nostro Paese ma in tutto il Continente. «La Germania non ha voluto prendere coscienza della presenza della ‘Ndrangheta – disse il procuratore – nonostante io li avessi avvertiti già 10 anni prima della strage di Duisburg».
Da allora molto è cambiato e la consapevolezza dell’estensione e del pericolo criminale rappresentato dalla ‘Ndrangheta è oggi patrimonio comune delle forze dell’ordine e della magistratura di tutta Europa. Ed è figlia di questa consapevolezza la nascita, a giugno dell’anno scorso, del progetto di durata triennale I-can (Interpol cooperation against ‘Ndrangheta – Cooperazione Interpol contro la ‘Ndrangheta), patrocinato dall’Italia insieme ad Interpol e che ha visto l’adesione di altri 10 Paesi: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Colombia, Francia, Germania, Stati Uniti, Svizzera e Uruguay.
Il lancio è avvenuto on line e, durante la videoconferenza, il vice capo della Polizia, Vittorio Rizzi, ha illustrato i tre pilastri su cui si fonda il progetto: «La realizzazione di un programma di awareness (consapevolezza, ndr)globale per colmare la mancanza di notizie di dettaglio sul metodo di infiltrazione della ‘Ndrangheta; l’utilizzo e lo sviluppo delle più moderne tecnologie per l’analisi operativa, anche di natura predittiva; la realizzazione di attività operative coordinate volte all’arresto di latitanti ed al sequestro ed alla confisca dei beni illecitamente acquisiti».
Per questo l’Italia ha costituito un hub, presso la Direzione centrale della polizia criminale, la cui componente di livello strategico coinvolge i vertici delle forze di polizia, della Direzione investigativa antimafia e della Direzione centrale dei servizi antidroga, con il supporto della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.
Il procuratore nazionale antimafia, Cafiero De Raho, ha sottolineato l’importanza della collaborazione tra forze di polizia di Paesi diversi. La ‘Ndrangheta si muove infatti con grande velocità in un mondo globalizzato e solo la fiducia tra le forze di polizia può garantire la costituzione di un sistema investigativo comune, senza frontiere. «La ‘Ndrangheta è un punto di riferimento internazionale per il traffico degli stupefacenti e la Direzione nazionale antimafia italiana è impegnata quotidianamente con le forze di polizia di molti Paesi nel mondo.
La ‘Ndrangheta parla tutte le lingue ed è capace di mimetizzarsi e di essere ovunque. Colonizza i territori e richiama su quei territori i propri uomini. Malgrado sia infiltrata in più di 30 Paesi nel mondo, le organizzazioni non sono autonome; esiste un organismo centrale che disciplina i rapporti e risolve gli attriti tra le strutture territoriali.
Queste concorrono alla formazione dell’organismo centrale, ma non ne conoscono l’intera struttura di vertice, per evitare che eventuali collaborazioni con gli investigatori possano minare il sistema. Tra le attività più pericolose l’infiltrazione nelle economie legali. In particolare costituendo società in Paesi dai sistemi giuridici più vulnerabili e meno collaborativi, in cui è più facile riciclare denaro sporco».
Alla fine di marzo si è tenuto presso la procura di Catanzaro un vertice operativo sulle strategie di contrasto della ‘Ndrangheta su scala globale al quale hanno partecipato, tra gli altri, Giovanni Bombardieri e Nicola Gratteri, rispettivamente a capo delle Procure delle Direzioni distrettuali antimafia di Reggio Calabria e Catanzaro, il prefetto Vittorio Rizzi e Stephen Cavanagh, vicedirettore di Interpol, e i vertici territoriali delle forze dell’ordine. «Questa nuova struttura punterà anche a fare formazione sul piano internazionale per le polizie del mondo – ha precisato Gratteri – quindi dobbiamo creare dei corsi per omologare le tecniche d’indagine e per far conoscere, anche partendo dalla storia, la ‘Ndrangheta e capire perché siamo arrivati oggi ad assistere a una mafia sempre più forte e pervasiva.
Ormai ci vuole un approccio conoscitivo, storico, non bisogna più pensare che il modus operandi delle mafie sia uguale e omologo, c’è una filosofia criminale, un approccio criminale diverso anche all’interno delle stesse mafie italiane, quindi è bene specificare e spiegare qual è la traccia da seguire».
Di mafia e Covid si è parlato anche lo scorso mese in un confronto cui hanno preso parte il prefetto Rizzi e il procuratore Gratteri. La domanda loro posta è stata molto chiara: come si è mossa la criminalità organizzata nell’anno della pandemia? La risposta del procuratore non si fa attendere: «Le mafie non hanno regole né bisogno di garanzie, l’usurato dalle mafie sa che la garanzia è la sua stessa vita.
Quest’anno è successo qualcosa che va oltre: le mafie comprano senza passaggio di proprietà, come se non fosse successo nulla. Un proprietario continua a gestire la sua attività come se nulla fosse, ma dietro ci sono i soldi della mafia. Alberghi, ristoranti, pizzerie sono state le categorie più esposte.
Un grande affare per le mafie, loro hanno pensato che prima o poi si uscirà da questa pandemia e diventerà produttivo investire in alberghi, ristoranti e pizzerie…L’ Italia dal punto di vista normativo antimafia è uno dei Paesi più evoluti al mondo, il dramma è l’Europa che, purtroppo, non è attrezzata per contrastare le mafie e il riciclaggio.
Se parto dall’Italia con due valigie piene di euro, entro in un autosalone di Francoforte, compro un’auto da 80mila euro in contanti e torno in Italia, nessuno mi chiede dove ho preso quei soldi. L’Europa è una grande prateria, si occupa poco di sicurezza. Da un punto di vista sostanziale, se devo indagare su un traffico di droga, e il trafficante si muove tra Germania, Belgio e Olanda, mi devo raffrontare con sistemi giudiziari diversi.
Il Paese con la maggior densità ‘ndranghetista dopo l’Italia è la Germania. Ci sono decine di locali della ‘Ndrangheta. Ma loro non si creano il problema. Dovrebbero spiegare ai loro cittadini perché da 25 anni negano l’esistenza delle mafie. Dire che lì ci sono le mafie significa scoraggiare gli investitori stranieri».
Anche il prefetto Rizzi sottolinea la pericolosità delle mafie: «Il tema centrale è la consapevolezza degli Stati esteri della pericolosità e pervasività delle mafie. Il messaggio che passa è che la preoccupazione principale sia per l’Italia, ma la domanda vera è se sono pronti gli altri Stati a reggere questo urto.
Se penso al linguaggio della legalità, io penso alla cattura di Morabito. L’usura è un reato odioso. Se noi facciamo un focus sulla città di Napoli, dove è aumentato il fenomeno, dall’inizio dell’anno abbiamo solo dieci denunce per usura. Dieci non è nulla, non rappresenta un fenomeno quantificabile in termini di allarme.
Non deve far preoccupare solo l’usura, quanto la possibilità di subentrare negli assetti societari e delle imprese in crisi. Ci preoccupano i crediti deteriorati nella pancia delle banche. Il sistema creditizio vive attraverso moratorie e dilazioni. Arriveranno fondi e aiuti. La sfida è tutta qui: questi crediti possono salvare le attività se i soldi saranno spesi bene».
STRUTTURA della ‘NDRANGHETA
Al fine di comprenderne la minaccia, il Progetto I-can vuole anzitutto illustrare alle forze di polizia straniere quale sia la struttura e come opera la ‘Ndrangheta. È il prefetto Rizzi a spiegarlo. La sua organizzazione è unitaria, familistica con vincoli di sangue fortissimi e verticistica.
La ‘ndrina è alla base della piramide e si identifica con una famiglia (o con più famiglie legate da rapporti di parentela) di origini calabresi. Più `ndrine formano la Locale di ‘Ndrangheta, struttura intermedia che rappresenta una base operativa stabile, indice della presenza radicata dell´organizzazione criminale. In Calabria, opera un´ulteriore struttura, il Mandamento (ionico, tirrenico e di Reggio Calabria città), costituito dall´unione dei locali in assoluto più forti.
Struttura superiore di riferimento per tutti i locali è il Crimine, organismo formato dai capi dei locali e dei tre mandamenti, che decide le strategie complessive dell´intera organizzazione criminale nel mondo. Al vertice della piramide c’è la Santa: componente segreta e riservata della ‘Ndrangheta, i cui componenti non sono noti nemmeno ai boss.
Il vincolo di sangue che caratterizza questa mafia fa sì che abbia una tenuta interna che non ha pari nelle altre organizzazioni criminali italiane: basti considerare che, in base agli ultimi dati ufficiali, dei 1.189 collaboratori di giustizia, il 42% appartiene alla Camorra, il 22 % a Cosa nostra, il 14% alle mafie pugliesi, il 7% alle altre mafie e solo il 15% del totale alla ‘Ndrangheta.
La penetrazione delle cosche di ‘Ndrangheta è particolarmente insidiosa, una colonizzazione che replica all´estero il proprio modulo strutturale, grazie alla rete compatta consolidata delle comunità di immigrati calabresi ben integrate e presenti in tutto il mondo. Non si limita a fare affidamento su determinate persone per affari temporanei, ma il primo fattore di successo sta proprio nell´esportare la propria struttura organizzativa e il metodo mafioso.
All’attacco frontale allo Stato (come quello di Cosa nostra in passato), la ‘Ndrangheta preferisce l´infiltrazione silente nel tessuto economico sociale e imprenditoriale, che destabilizza l´economia e altera la libera concorrenza dei mercati legali, andando allo stesso tempo ad inquinare il settore pubblico ed istituzionale.
La ‘Ndrangheta è sostenuta all´estero dal suo enorme potere finanziario costruito principalmente sul traffico di droga, da un immenso potere corruttivo e dalla costante distrazione di fondi pubblici operata attraverso le truffe e gli appalti truccati.
Tutti i profitti sono reinvestiti abilmente utilizzando sofisticate tecniche di riciclaggio di denaro: soldi che inizialmente vengono visti con favore nei Paesi ospitanti ma che hanno l’effetto di inquinare, corrompere e strozzare l’economia perché alterano i meccanismi della concorrenza e determinano l’estromissione dal mercato degli imprenditori onesti. Gli esiti investigativi hanno dato conferma dell´esistenza di una rete relazionale, il cosiddetto capitale sociale, che comprende imprenditori, professionisti, funzionari pubblici, forze dell´ordine e politici.
Legami poco stabili, privi di contenuti affettivi ma che creano obbligazioni reciproche estremamente vincolanti. Il controllo degli appalti pubblici non si realizza tendenzialmente con l´uso della violenza o di un´esplicita attività intimidatoria ma attraverso la costituzione di imprese che utilizzano i metodi della collusione e della corruzione.
La ‘Ndrangheta è riuscita così ad acquisire il controllo diretto o indiretto in società operanti nel modo dell´edilizia, della ristorazione, dell´import – export, dei trasporti, dei giochi e delle scommesse, della raccolta e smaltimento dei rifiuti. La modernità della ‘Ndrangheta è evidente, inoltre, nell´utilizzo dei social e dagli spazi offerti dal Web, deep e dark, come piattaforme per realizzare commerci illeciti.
ARRESTI: qualche nome
Giuseppe ROMEO, classe 1986 conosciuto con i soprannomi “u pacciu”, “maluferru” o “u nanu”, figlio di Antonio detto “centocapelli”, aveva il ruolo di promotore, organizzatore e finanziatore dei traffici di cocaina in Europa e, stabilita la propria dimora in Germania, faceva spola fra la Calabria, la Lombardia e l’Europa nord-occidentale per stringere accordi con i fornitori e con alcuni intermediari in Belgio, Olanda e Germania. Colpito da due ordinanze di custodia cautelare in carcere, ROMEO è destinatario di un decreto di sequestro preventivo nell’ambito dell’inchiesta “European ‘Ndrangheta Connection” e i1 3 novembre 2020 è stato condannato dal G.U.P. di Reggio Calabria a 20 anni di reclusione per la partecipazione, con ruolo di rilievo, ad un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico internazionale, detenzione di sostanze stupefacenti, trasferimento fraudolento di valori ed auto-riciclaggio.
Marc Feren Claude BIART è stato arrestato a Boca Chica, colpito da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria, nell’ambito dell’Operazione “MAUSER” per associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti in favore del clan CACCIOLA di Rosarno (RC).
Francesco MODAFFARI, scovato in Germania ed estradato in Italia, fratello di Domenico rimpatriato il 2 luglio scorso, arrestati entrambi dal collaterale organo di polizia tedesco nel quadro di una proficua attività di cooperazione internazionale e individuati anche attraverso monitoraggi dei social network. L’Operazione EYPHEMOS, a febbraio scorso, aveva portato all’esecuzione di 65 misure cautelari per associazione a delinquere di stampo mafioso, traffico internazionale di stupefacenti, detenzione illegale di armi, estorsione, favoreggiamento reale violenza privata, violazioni in materia elettorale aggravati dal ricorso al metodo mafioso e dalla finalità di aver agevolato la ‘ndrangheta, nonché per scambio elettorale politico mafioso.
Ferdinando SARAGO’, corriere e uomo di fiducia della ‘Ndrangheta che faceva la spola tra il Sudamerica e la Calabria: a lui si rivolgevano le cosche per le varie necessità operative e per il trasporto di documenti segreti.
Giovanni DI PIETRO, residente a Buenos Aires, costituiva il front office fra le cosche italiane e i fornitori sudamericani di droga, occupandosi anche direttamente dell’esportazione delle sostanze stupefacenti. Aveva partecipato, nel 1978, al rapimento ad Acireale di Franz Trovato, figlio di un industriale locale, terminato poi con la tragica uccisione del ragazzo. Nel settembre del 1979 Di Pietro viene arrestato in Argentina per rapina, furto e falsificazione di documenti. La polizia gli sequestrò una serie di documenti che tiravano in ballo il suo coinvolgimento nella terribile storia di Franz Trovato.
Franco D’AGAPITI, arrestato in Costa Rica, comproprietario dell’Hotel Casino Amapola di San Josè de Costa Rica, si era stabilito nel paese sudamericano e fungeva da punto di riferimento per gli esponenti della cosca. Il suo ruolo era quello di agevolare l’ingresso di cocaina in Italia, mettendo a frutto da oltreoceano la fitta rete di contatti e conoscenze e offrendo ospitalità e appoggio logistico agli ‘ndranghetisti, grazie alla disponibilità della struttura alberghiera di sua proprietà.
Bujar SEJDINAJ, arrestato in Albania, detto “lo zio”, avamposto della ‘Ndrangheta in quell’area balcanica, ed in particolare della ‘Ndrina “Bellocco”, ha partecipato insieme ad altri all’organizzazione dell’acquisto in Spagna di circa 20 kg di cocaina.
Roberto PISANO, arrestato in Svizzera e affiliato alle cosche Piromalli-Molé di Gioia Tauro dovrà scontare un cumulo di pene residue di 8 anni e 7 mesi, relativo a condanne passate per traffico di stupefacenti e minacce. L’arresto di Pisano, rappresenta il primo arresto eccellente dopo l’avvio del progetto di cooperazione internazionale di polizia I-can.
Rocco MORABITO, il secondo latitante più ricercato d’Italia dopo Matteo Messina Denaro, è stato arrestato in un albergo di Joao Pessoa, capitale dello stato si Paraiba, nel nord-est del Brasile. Considerato il più importante broker di stupefacenti per i cartelli del narcotraffico sudamericano, era evaso il 24 giugno 2019, insieme ad altri tre detenuti (Leonardo Abel Sinopoli Azcoaga, Matias Sebastián Acosta González e Bruno Ezequiel Díaz) scavando un tunnel che lo fece uscire dalla terrazza del carcere “Central” di Montevideo, quando stava per essere estradato in Italia. Deve scontare 30 anni per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti. Catturato nella stessa operazione anche Vincenzo Pasquino, 35 anni, piemontese, un altro narcotrafficante che si era dato alla macchia nel Paese, anche lui inserito nell’elenco dei latitanti più pericolosi. Rocco Morabito ha un pedigree criminale di tutto rispetto: è imparentato col più noto boss Giuseppe Morabito, detto “utiradrittu”, suo cugino di secondo grado e con i fratelli Domenico Leo e Giovanni Morabito soprannominati gli “Scassaporte”. Gli ‘80 e i ’90 per l’ormai ex latitante sono stati gli anni d’oro. La carriera criminale di Tamunga prende avvio nel 1984 quando, all’età di soli 17 anni, viene denunciato per interruzione di pubblico servizio. Era uno dei rampolli degli “africoti” che hanno studiato all’università di Messina nei tempi in cui la ‘ndrangheta si laureava con la pistola sulla cattedra. Nel 1988, era stato arrestato dalla Procura di Messina per minacce a un docente universitario. Accusa da cui poi verrà assolto per insufficienza di prove. È tutto riportato in una vecchia nota dei carabinieri di Bologna, dove prima di darsi alla macchia, Morabito gestiva le quote della società Mistigrìa cui venivano intestate le auto utilizzate e le utenze degli affiliati alla cosca di Africo. Nel 1989, suo fratello Leo Morabito è stato ucciso in un agguato e l’anno successivo Rocco è stato ferito in un altro attentato. Si era presentato presso l’ospedale di Locri perché qualcuno gli aveva sparato a una caviglia ma le indagini non riuscirono mai a individuare il responsabile. Nel settore del traffico di droga è entrato in contatto anche con gli ambienti della Camorra. Non è un caso che, assieme ad altri affiliati, Rocco Morabito fosse stato identificato a Baia Domizia di Sessa Aurunca, all’interno dell’abitazione di Alberto Beneduce, boss e narcotrafficante camorrista conosciuto con il soprannome di “A cocaina” e trovato qualche settimana dopo carbonizzato nel bagagliaio di un’auto. Gli affari di Tamunga passavano per Milano dove la sua rete di contatti portava dritto ad Africo e alle cosche dell’Aspromonte. Una rete di cui facevano parte Antonio Morabito, Domenico Antonio Mollica e Francesco Sculli. Quest’ultimo, nel 1992 era stato arrestato a Fortaleza, in Brasile, assieme a Waleed Issa Khamayis detto “Ciccio”. Avevano messo in piedi un carico di oltre mezza tonnellata di cocaina. Dalla Lombardia al Sud America il passo è stato breve. Nel luglio 1992 è stato arrestato dalla Polizia di Fortaleza (Brasile) per traffico di stupefacenti in concorso con altri. Rimesso in libertà, rientra in Calabria, dove nel 1994 viene denunciato più volte per associazione per delinquere. La sua latitanza inizia sfuggendo a due ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Tribunale di Milano per traffico internazionale di stupefacenti. È lo stesso reato che gli contesta nel 1995 il gip di Palermo in un’altra inchiesta. Ma Rocco Morabito era già diventato un fantasma. Di lui si erano perse le tracce e il suo nome fino al 2017, compariva raramente negli atti delle recenti inchieste antimafia. Eppure nel corso della lunga latitanza, Tamunga non ha mai smesso di essere uno dei più importanti narcotrafficanti a livello mondiale. Un broker della droga che, nel settembre 2000 è stato denunciato per aver fatto parte, con il ruolo di “importatore di sostanze stupefacenti poi ripartito tra le varie organizzazioni”. Se il core business era il traffico di cocaina dal Sud America, i soldi poi venivano riciclati in acquisti immobiliari e attività imprenditoriali.
Di Mauro Valeri