La seconda guerra del Nagorno-Karabakh ha profondamente alterato il panorama geopolitico del Caucaso meridionale. La Turchia è diventata un serio contendente per l’egemonia regionale, mentre Mosca rafforzerà il suo status facendo rivivere le vie di comunicazione di era sovietica.
E’ passato circa un anno da quando la seconda guerra del Nagorno-Karabakh ha modificato gli equilibri geopolitici del Caucaso meridionale: il conflitto si era concluso con la vittoria della Turchia, che aveva sostenuto l’Azerbaigian, e della Russia, che aveva mediato l’accordo di cessate il fuoco mantenendo la propria neutralità. La mediazione del Cremlino consentiva di evitare la disfatta totale delle forze militari armene, consentendo a Baku di riconquistare l’80% dei territori persi nel conflitto dei primi anni ’90.
BACKGROUND
L’accordo trilaterale di cessate il fuoco mediato da Mosca e firmato dal Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan e dal Presidente azero Ilham Aliyev ha determinato uno delle più importanti trasformazioni avvenute nell’area del Nagorno-Karabakh dal crollo dell’URSS. Le prime turbolenze ebbero luogo nel 1988, quando gli armeni etnici chiesero l’annessione all’Armenia di quell’area allora nota come Oblast Autonoma del Nagorno-Karabakh (NKAO) dall’Azerbaigian sovietico.
Successivamente al crollo dell’Unione Sovietica, le tensioni si trasformarono in una vera e propria guerra che si concluse con la vittoria armena, ottenuta con il sostegno militare russo, e la conquista da parte armena del NKAO e dei sette distretti azeri adiacenti alla regione oggetto del conflitto. A settembre 2020, l’Azerbaigian dava il via a un nuovo conflitto armato che si concludeva il 10 novembre successivo, con l’accettazione di un accordo di cessate il fuoco mediato dal Cremlino. In base a tale accordo, Baku acquisiva il controllo dei 7 distretti adiacenti al Nagorno-Karabakh e di un terzo della regione (inclusa la città di Shusha), e veniva concordata la costituzione di due corridoi stradali, con il primo che dovrebbe collegare il territorio azero alla sua exclave di Nakhchivan (attraversando il territorio di Sunik in Armenia) ed il secondo che, attraversando l’Azerbaigian, dovrebbe collegare l’Armenia con Stepanakert (capitale del Nagorno-Karabakh).
Inoltre, le due parti accettavano che la sicurezza di alcune aree comprese tra Lachin ed il Karabakh (comprendenti anche i suddetti corridoi), sarebbe stata garantita dalla presenza di un contingente russo di 1960 uomini.
L’accettazione dell’accordo aveva consentito a Erevan di limitare le perdite, in quanto il prolungamento del conflitto avrebbe consentito all’Azerbaigian di ottenere il pieno controllo di tutta la regione, soprattutto grazie ad un equipaggiamento militare superiore (droni ed altre apparecchiature high-tech) fornito da Turchia ed Israele.
IL RUOLO DEL CREMLINO
L’esito del conflitto venne influenzato anche dall’atteggiamento “neutrale” adottato dalla Russia, la quale decise ufficialmente di non intervenire, precisando, tra l’altro, che nel caso specifico di questo conflitto, non trovava applicabilità la clausola di solidarietà prevista dalla Collective Security Treaty Organization (CSTO) in base alla quale “un atto di aggressione esterna nei confronti di uno dei Paesi membri sarebbe considerata un attacco a tutti, autorizzando contromisure comuni”.
La clausola avrebbe beneficiato l’Armenia, ma per Mosca essa non era valida in quanto il conflitto si stava svolgendo nei territori occupati da Erevan del Nagorno-Karabakh, appartenenti de jure all’Azerbaigian. Nonostante la posizione di neutralità adottata, il Cremlino otteneva una vittoria diplomatica significativa, rafforzando la propria posizione nell’influenzare la politica del Caucaso meridionale ed acquisendo una nuova e significativa influenza sia sull’Armenia che sull’Azerbaigian.
La Russia potrebbe però essere vulnerabile alle rivendicazioni di entrambi al momento di rinnovare la missione di pace nel 2025. Inoltre, Mosca si è trovata nella condizione particolare di dover decidere quale policy perseguire nella regione, in quanto, da una parte, il semplice congelamento delle attuali posizioni consentirebbe il mantenimento della presenza militare russa, dall’altra però una stabilizzazione più duratura agevolerebbe il programma di sviluppo russo della regione, consistente nel ripristino delle vie di comunicazione e di trasporto sugli assi est-ovest e nord-sud, che consentirebbe di sbloccare i collegamenti con Armenia, Iran e Turchia bypassando la filo-occidentale Georgia.
I DELICATI RAPPORTI ARMENIA – TURCHIA
Non meno importante, nel contesto regionale, è la questione delle relazioni diplomatiche tra Armenia e Turchia, di fatto inesistenti dal 1991. Contrariamente alle interpretazioni costruttive avanzate anche di recente dal Governo armeno, la posizione della Turchia sulle relazioni con Erevan non è cambiata da allora.
Inizialmente, la Turchia aveva stabilito la condizione secondo la quale “in assenza di qualsiasi miglioramento nelle relazioni armeno-azere, qualsiasi progresso da realizzare nell’ambito del processo di normalizzazione turco-armeno da solo rimarrebbe insufficiente e non sarebbe duraturo o sostenibile”. In pratica, una risoluzione pro-Azerbaijan del conflitto del Karabakh sarebbe stata l’unica precondizione per la stabilizzazione delle relazioni. L’Armenia, invece, considerava la normalizzazione dei rapporti con la Turchia senza il presupposto di condizioni preliminari e indipendentemente dal conflitto del Karabakh.
Armenia e Turchia pertanto continuano ad avere visioni diverse su modalità e tempistica per avviare il processo di stabilizzazione, il cui divario continua ad essere influenzato da problematiche storiche e regionali: non è casuale che Erdogan parli di una lenta e graduale normalizzazione delle relazioni, mentre Pashinyan voglia velocizzare tale processo, per consentire all’Armenia di uscire da quell’isolamento trentennale imposto da Ankara.
Nonostante Pashinyan abbia fornito molteplici indicazioni tese a rappresentare, alla controparte, la volontà armena di voler aprire le proprie frontiere accettando un eventuale compromesso; Ankara invece continua a specificare che, finché Yerevan insisterà nel voler velocizzare la tempistica, le citate precondizioni rimarranno valide per poter avviare il processo. Le suddette precondizioni esplicite ed implicite rimarranno nell’agenda della politica estera turca, in quanto troppo complesse e strettamente intrecciate per poterle districare con facilità. Per contrastare, l’Armenia potrebbe avanzare la formula “prima normalizzazione, poi riconciliazione” per non ripetere gli errori dei protocolli di Zurigo, che miravano a lanciare i due processi contemporaneamente.
CONCLUSIONI
La recente ripresa da parte di Baku dei propri territori ha trasformato il contenuto delle relazioni turco-armene in due modi fondamentali, collegati l’uno all’altro:
- Turchia ed Azerbaijan, soddisfatti del risultato, sarebbero interessati a ristabilire una pace ed una stabilità duratura nella regione, ma raggiungibile solo previa dimostrazione, da parte armena, di aver abbandonato la politica irridentista adottata negli ultimi trenta anni;
- Yerevan sembrerebbe aver avviato il processo di trasformazione politico richiesto, dirigendosi verso una politica tesa all’ottenimento della sicurezza e della prosperità economica sviluppando relazioni pacifiche con i Paesi confinanti.
La trasformazione armena della premessa fondamentale della sua politica estera avvenuta a seguito della sconfitta militare con l’Azerbaigian e dopo la vittoria elettorale del Primo Ministro Pashinyan suggerisce che sia stato lo stesso elettorato armeno ad indicare la politica estera da seguire, in quanto interessato più alla pace e alla prosperità che a perseguire avventure irredentiste.
Un primo segnale di distensione di tali rapporti è avvenuto il 14 gennaio u.s., quando Turchia ed Armenia, su invito russo, hanno avviato colloqui tesi a sviluppare relazioni migliori. Le due parti, si sono incontrate a Mosca in un primo tentativo di normalizzare quelle relazioni che potrebbero portare ad una trasformazione radicale sia a livello bilaterale che regionale: nel corso dell’incontro, i partecipanti si sono scambiati opinioni ed avrebbero confermato la loro disponibilità ad impegnarsi nel processo di stabilizzazione “senza precondizioni”.
A margine dei colloqui veniva quindi annunciata la ripresa dei voli di collegamento tra i due Paesi, con le autorità armene che rilasciavano le relative autorizzazioni a FlyOne Armenia ed a Pegasus Turkish Airlines. I miglioramenti nelle relazioni bilaterali restano comunque legati all’evoluzione dei rapporti tra Armenia ed Azerbaigian, in quanto appare irrealistico aspettarsi che Ankara consenta all’apertura armena di danneggiare i suoi stretti legami con Baku.
La Turchia auspica che i miglioramenti a breve termine le permetteranno di affrontare i problemi più complessi a lungo termine con uno stato d’animo più positivo. Questi problemi includono le aspirazioni territoriali armene, espresse nella Costituzione, e le questioni di memoria storica relative ai tragici eventi del 1915. Si spera pertanto che i progressi iniziali siano rapidi e portino benefici immediati, in modo da non permettere ai movimenti politici irredentisti (attualmente indeboliti) di riprendersi e regredire gli sviluppi positivi.