Il commissario di polizia Luigi Calabresi: vita, omicidio e le controversie legate alla sua morte il 17 maggio 1972.
Luigi Calabresi, nato il 14 novembre 1937 a Roma, è stato un commissario di polizia. La sua morte ha segnato una delle pagine più controverse della storia italiana.
Assassinato il 17 maggio 1972, Calabresi era diventato il simbolo della lotta contro l’estremismo politico e il terrorismo, ma anche un bersaglio per via delle accuse contro di lui riguardanti la morte di Giuseppe Pinelli. Ecco una panoramica dettagliata della sua vita, delle tensioni dell’epoca, e dell’intricata vicenda giudiziaria legata al suo omicidio.
La carriera di Luigi Calabresi
Dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza con una tesi sulla mafia, Calabresi scelse di entrare nella polizia, vincendo un concorso per vice commissario nel 1965. In breve tempo divenne parte dell’ufficio politico della Questura di Milano, dove si occupava di indagini sui movimenti di estrema sinistra, in particolare su anarchici e gruppi maoisti.
In quegli anni di grande agitazione sociale, le tensioni tra manifestanti e forze dell’ordine erano all’ordine del giorno. Calabresi si trovò presto coinvolto nelle proteste studentesche del ’68 e divenne noto per la sua fermezza durante le manifestazioni, che dirigeva personalmente come responsabile delle cariche di polizia.
La strage di Piazza Fontana e il caso Pinelli
Il 12 dicembre 1969, un’esplosione alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano provocò la morte di 17 persone e il ferimento di 88. Questo evento sconvolse l’Italia e segnò l’inizio della cosiddetta “strategia della tensione”. Calabresi fu incaricato di indagare sul caso, inizialmente concentrandosi sulla pista anarchica.
Uno dei fermati fu Giuseppe Pinelli, anarchico milanese. Pinelli venne trattenuto in Questura per quasi tre giorni, ben oltre il limite legale, e il 15 dicembre cadde da una finestra dell’ufficio di Calabresi, morendo sul colpo. Questo evento diede inizio a una lunga serie di polemiche, poiché si sospettava un intervento diretto degli inquirenti nella sua caduta. Sebbene Calabresi dichiarò di non essere presente nella stanza al momento della caduta di Pinelli, una parte dell’opinione pubblica, specialmente nei circoli di sinistra, continuò a ritenerlo moralmente responsabile della sua morte.
La campagna contro Luigi Calabresi
A partire dal 1970, Calabresi fu al centro di una violenta campagna di denigrazione, orchestrata in particolare dal movimento extraparlamentare Lotta Continua, che lo indicava come responsabile della morte di Pinelli. Il giornale dell’organizzazione pubblicava regolarmente articoli molto duri contro di lui, rendendolo un bersaglio per i gruppi estremisti.
Nel 1971, una lettera aperta pubblicata sul settimanale L’Espresso e firmata da 757 tra intellettuali, giornalisti e artisti chiedeva la destituzione dei funzionari ritenuti responsabili della morte di Pinelli. La campagna contro Calabresi divenne ancora più intensa, con minacce esplicite e scritte sui muri che incitavano alla sua eliminazione.
L’omicidio di Luigi Calabresi
La mattina del 17 maggio 1972, mentre usciva di casa per recarsi al lavoro, Luigi Calabresi venne ucciso in un agguato a Milano. Due uomini lo sorpresero alle spalle e gli spararono. L’omicidio suscitò un enorme clamore e ulteriori divisioni nell’opinione pubblica italiana.
Le indagini sull’omicidio durarono diversi anni senza giungere a risultati conclusivi fino al 1988, quando Leonardo Marino, ex militante di Lotta Continua, confessò il proprio coinvolgimento. Marino indicò Ovidio Bompressi come esecutore materiale e Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani come mandanti. Dopo un lungo iter giudiziario, nel 1997 vennero condannati Sofri, Pietrostefani, Bompressi, e lo stesso Marino.
Le controversie sul processo e le condanne
Il processo per l’omicidio di Calabresi è stato caratterizzato da profonde divisioni. Adriano Sofri ha sempre negato il proprio coinvolgimento, dichiarandosi vittima di un errore giudiziario. Sofri, tuttavia, ha espresso pubbliche scuse alla vedova di Calabresi, riconoscendo di aver contribuito con le proprie parole alla campagna di denigrazione, sebbene abbia sempre rifiutato ogni responsabilità diretta nell’omicidio.
Il caso ha suscitato dibattiti durati decenni, con opinioni divergenti sull’imparzialità del processo e sulla validità delle testimonianze. Questa vicenda rimane un capitolo cruciale della storia giudiziaria e politica italiana, illustrando il clima di odio e di tensione sociale che pervadeva l’Italia in quegli anni.
Luigi Calabresi è diventato una figura simbolo della complessa storia italiana degli anni ’60 e ’70. La sua vita e il suo tragico omicidio rappresentano una fase storica in cui le tensioni politiche sfociavano spesso in violenza. La controversia attorno alla sua morte e al processo che ne è seguito continua a suscitare interesse e dibattito.
La storia di Calabresi mette in luce le contraddizioni di un periodo buio e complesso, in cui ideali e fazioni politiche si scontravano senza esclusione di colpi. Ancora oggi, il suo caso rappresenta un esempio emblematico delle sfide che la società italiana ha dovuto affrontare per superare gli anni di piombo.
Coloro che non imparano dalla storia sono condannati a ripeterla.
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