La crisi ucraina: Le opzioni energetiche percorribili.
di Fabrizio Lombardi
L’inaspettato fallimento dell’intesa diplomatica statunitense ed europea nello scoraggiare l’invasione russa dell’Ucraina ha convinto i leader europei a ridurre la loro dipendenza dalle esportazioni russe di gas naturale e petrolio, le principali fonti di energia per il Continente, pur coscienti, che eventuali soluzioni continuano ad essere ne semplici ne rapide.
Ad oggi, Mosca continua ad essere il più grande fornitore combinato mondiale di petrolio e gas, le cui esportazioni sono state utilizzate quale leva politica fin dall’epoca sovietica: produce il 17% di tutto il gas naturale ed il 12% del petrolio mondiale, fornendo circa il 40% del gas naturale dei paesi dell’Unione Europea, parte del quale scorre attraverso gasdotti che attraversano l’Ucraina.
Tale dipendenza dall’energia russa ha contribuito a far adottare, sia all’amministrazione Biden che all’Occidente, la decisione di non sanzionare economicamente infrastrutture e rifornimenti energetici russi, privando i leader occidentali dell’arma più penetrante, in quanto, i ricavi delle esportazioni di petrolio e gas rappresentavano un terzo del bilancio del governo russo.
LA NUOVA CRISI ENERGETICA
Dall’inizio del conflitto in Ucraina (avvenuto lo scorso 24 febbraio) il prezzo del greggio è lievitato esponenzialmente fino a raggiungere il costo di $ 140 al barile, avvicinandosi al record di $ 147 raggiunto nel 2008. Anche se le attuali sanzioni imposte alla Russia non erano rivolte esplicitamente a colpire il commercio di energia, le misure adottate nei confronti di banche e ad altre entità hanno posto in essere un serio ostacolo nei confronti delle esportazioni russe di petrolio, gas naturale e carbone, causando la crisi dei mercati energetici globali. Inoltre, la pericolosità di attraversamento del Mar Nero e del Mare d’Azov (classificati come “zone di guerra” dalle compagnie di assicurazioni marittime inducendo de facto il blocco o la forte limitazione degli spostamenti) hanno ridotto le consegne di petrolio su tutti i mercati globali, comprese le forniture marittime di produttori non russi come il Kazakistan.
In tempi brevi, le esportazioni di energia russe (petrolio, gas naturale e carbone) potrebbero subire una notevole riduzione, causata non necessariamente dall’adozione delle sanzioni, ma dalle decisioni di commercianti energetici, banche e trasportatori (necessitanti di transazioni sicure) di commerciare unicamente con aziende “non sanzionate” che coinvolgano la Russia: in analogia a quanto già avvenuto, nel recente passato, con il ciclo di sanzioni adottate nei confronti dell’Iran, nel corso del quale si era assistito al rispetto eccessivo di tutte le norme, da parte delle aziende interessate, al fine di evitare le misure sanzionatorie statunitensi.
Nella casistica sanzionatoria nei confronti di Mosca, le aziende saranno ancora più contrarie a commerciare con la Russia o ad elaborare pagamenti russi per evitare danni d’immagine e/o subire pressioni da parte degli investitori. In analogia a quanto avvenuto in passato, l’attuale crisi energetica si sta sviluppando in una situazione di alta tensione dei mercati energetici, pronti ad amplificare l’impatto negativo causato dalla riduzione delle forniture.
STORIA DI UNA CRISI ANNUNCIATA
Prima dell’attuale crisi, si era assistito ad una lievitazione dei prezzi del petrolio causata dalla riduzione della produzione statunitense crollata all’inizio della pandemia di COVID-19 e non più tornata ai livelli pre-pandemia. Gli altri principali produttori invece avevano continuato a pompare a ritmi pre-pandemici causando la riduzione della disponibilità residua nei mercati petroliferi globali che potrebbe essere compensata qualora si riducesse il deficit della produzione statunitense o delle attuali esportazioni russe.
Inoltre, si continua ad assistere alla rapida riduzione delle scorte globali causata dalla carenza di investimenti nella nuova produzione. Dal lato della domanda, il consumo globale di petrolio è tornato ai tassi pre-pandemici ed è probabile che continui a crescere, qualora si dovesse assistere alla ripresa dei viaggi internazionali. Infatti, la pandemia ha amplificato la domanda di base del carburante: i consumi di plastica sono lievitati per il crescente uso di mascherine (beni usa e getta) e da vari beni di consumo, mentre parallelamente aumentavano gli acquisti in modalità e-commerce; si assisteva, al tempo stesso, alla riduzione drastica dell’uso di mezzi pubblici ed all’aumento dell’uso delle autovetture di proprieta’.
Il contenimento dei costi derivanti dalla nuova esigenza di petrolio, avrebbe richiesto un aumento della produzione al quale non tutti i governi occidentali si erano dimostrati favorevoli: gli USA si configuravano come uno dei pochi paesi ad avere una sottoutilizzata capacità di produzione di petrolio, ma le attuali politiche di Washington contro i combustibili fossili hanno limitato lo sviluppo di nuovi investimenti nella produzione petrolifera; un altro importante produttore globale con una notevole capacità aggiuntiva potrebbe essere il Canada, ma da anni è alle prese con la congestione degli oleodotti, che ha causato un eccesso di petrolio nei serbatoi di stoccaggio, originando una riduzione dei prezzi e della produzione per drenare le scorte record.
Tali riduzioni venivano revocate a novembre 2021 con il conseguente aumento della produzione, pertanto a breve il Canada potrebbe essere in grado di immettere più petrolio sul mercato.
Le nuove sanzioni adottate nei confronti di Mosca, sebbene siano state progettate con lo specifico intento di esentare da tali misure le esportazioni russe di gas naturale in Europa, potrebbero comunque causarne una riduzione. Pariteticamente al petrolio, il mercato europeo del gas era già in crisi prima del conflitto ucraino quale diretta conseguenza della politica dell’Unione Europea, la quale, nella speranza di favorire un maggiore utilizzo delle energie rinnovabili, negli ultimi anni aveva optato per l’adozione di una politica “green” danneggiando gravemente la sicurezza energetica europea e limitando al contempo lo sviluppo della diversificazione degli approvvigionamenti energetici.
Nonostante l’Europa si fosse assicurata nuovi approvvigionamenti di gas, con la costruzione di terminali LNG (Gas Naturale Liquefatto) ed il completamento nel 2020 del corridoio meridionale del gas (consentendo il convogliamento in Europa sudorientale ed in Italia il gas proveniente dall’Azerbaigian), tali progetti sono risultati essere insufficienti a soddisfare le esigenze energetiche di tutti i Paesi interessati.
Inoltre, Bruxelles ha posto in essere una limitazione delle proprie capacità di attingere a forniture di gas ponendo fine alla maggior parte dei contratti a lungo termine di gas naturale: i quali in passato avevano fornito ai consumatori europei un approvvigionamento sicuro ad un prezzo stabile. Infatti, i mercati europei che hanno continuato ad avere accesso al gas tramite questa tipologia di contratti (come Italia e Grecia), sono riuscite a compensare i danni causati dall’attuale crisi energetica, rispetto a quei Paesi che si erano orientati verso il mercato spot del gas, il quale, se inizialmente era risultato applicare prezzi convenienti, successivamente con la glorificazione del libero mercato e l’ebrezza della liberalizzazione era stato attirato nel vortice della finanza speculativa dei prezzi spot: le cui decisioni si basano più su informazioni dell’ultima ora e sulle sensazioni conseguenti, che su razionalità economiche.
La fine dei contratti a lungo termine e l’aumento del commercio di gas negli hub spot hanno pertanto rafforzato la capacità russa di influenzare i prezzi in quanto principale produttore di oscillazioni con la capacità di aumentare e ridurre le forniture negli hub. Negli ultimi anni, i governi europei hanno anche sconsideratamente ridotto la portata dello stoccaggio del gas necessario, danneggiando ulteriormente la sicurezza energetica del continente.
LA SOLUZIONE LNG
L’invasione dell’Ucraina ha rappresentato una sfida seria per la sicurezza europea convincendo la Germania, nonostante le prime esitazioni, a sospendere le operazioni per rendere operativo il gasdotto Nord Stream 2, e ad iniziare una diversificazione delle importazioni di gas attivando le procedure per la costruzione dei primi due terminali per la gestione del LNG, uno dei quali era stato precedentemente progettato come terminal gallegiante, soluzione preferita sia per motivi economici che per i ridotti tempi di realizzazione. Come conseguenza diretta del conflitto e dell’avvenuta interruzione, da parte del Cremlino, dei flussi del gasdotto Yamal-Europa verso la Germania (tramite il quale in Europa veniva convogliato circa il 10% delle forniture totali di gas), si assisteva ad una intensificazione delle discussioni occidentali tese ad organizzare e ricercare fonti di energia alternative.
I leader occidentali avevano pertanto preso coscienza della necessità di garantire nuove forniture di gas che potessero compensare le esportazioni russe, qualora il conflitto Ucraino si dovesse espandere o qualora Putin dovesse decidere di ridurre drasticamente le esportazioni di energia della Russia. Appare evidente che eventuali soluzioni facili e rapide potrebbero essere elusive, anche se alcuni Paesi hanno fornito la propria disponibilità a contribuire e ad alleviare (ma non risolvere completamente) la crisi energetica europea.
In tale situazione, gli USA si sarebbero potuti configurare come il paese con il maggiore potenziale di mitigazione di questa crisi con nuove forniture di petrolio e gas, ma al momento non avrebbe inviato segnali tesi a porre in essere la compensazione della produzione alle esigenze energetiche causate dal conflitto: la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, fornendo chiarimenti in merito all’impatto che avrebbe potuto avere la crisi ucraina sul prezzo del petrolio, precisava la volontà dell’amministrazione Biden di continuare a concentrare ogni tipo di sforzo sullo sviluppo delle energie rinnovabili. Pertanto, non si assisteva ne a segnali di aumento della produzione di petrolio e gas, ne allo sviluppo delle capacità degli oleodotti statunitensi che consentirebbero l’incremento delle forniture petrolifere canadesi.
LE SOLUZIONI ENERGETICHE
Probabilmente il contributo statunitense per la riduzione dell’inflazione petrolifera, potrebbe risiedere nel rinnovato accordo nucleare con l’Iran, che consentirebbe di immettere sul mercato globale ulteriori barili iraniani, con la conseguente riduzione del prezzo del petrolio. I commercianti di energia sembrerebbero aver preso in seria considerazione l’aspettativa di un aumento delle forniture iraniane, ma si potrebbe configurare come una falsa aspettativa, in quanto i volumi di petrolio iraniano disponibili potrebbero essere limitati, in quanto, Teheran aveva continuato a commercializzare il proprio combustibile con la Cina, aggirando le sanzioni statunitensi attraverso Iraq e Kuwait, con l’ausilio di una vasta flotta di petroliere fuori catalogo specializzate nel trasporto di greggio ed altri combustibili liquidi.
Allo stesso modo, i rapporti secondo cui l’Agenzia Internazionale per l’Energia coordina il rilascio di riserve petrolifere strategiche da parte dei paesi membri, inclusi gli Stati Uniti, non segnalano reazioni positive, considerando ogni eventuale calo dei prezzi come un fattore momentaneo dato il crescente divario tra capacità di produzione e domanda.
Relativamente alla problematica connessa alla riduzione dei costi del gas naturale, gli Stati Uniti (il più grande produttore mondiale di gas) potrebbero essere il partner naturale per soddisfare l’esigenza energetica, ma al momento il 90% di tutta la produzione viene usata per esigenze nazionali, pertanto, sarebbero in grado di soddisfare la domanda europea solo in un prossimo futuro, in quanto Washington ha concesso nuovi permessi per la costruzione di terminali e per l’esportazione di LNG che consentiranno di aumentare la capacità di liquefazione annuale fino a 220 miliardi di metri cubi.
Poiché un’offerta diversificata distribuirebbe il rischio, potrebbe anche essere prudente cercare contratti aggiuntivi con fornitori di altri paesi, come il Qatar, considerato da Washington come una potenziale fonte di nuovi approvvigionamenti, avendo fatto registrare esportazioni per circa 106 miliardi di metri cubi di LNG nel 2020, ed avviato al contempo lavori tesi ad aumentare la capacità di produzione e di esportazione di LNG nell’arco del prossimo quinquennio. Infatti, alla fine di Gennaio u.s., Biden aveva tenuto un vertice con l’Emiro del Qatar (uno dei principali fornitori mondiali di gas naturale) teso a verificare la disponibilità a compensare i gap causati dalle mancate forniture in Europa da parte del Cremlino.
Le risposte del Qatar non sembrerebbero aver soddisfatto l’interlocutore statunitense, in quanto Doha ha evidenziato le difficoltà a riorientare il mercato globale dell’energia in tempi rapidi, vista le necessità derivanti dall’attuale crisi. Inoltre, il 22 febbraio u.s., il Ministro dell’Energia del Qatar, Saad al-Kaabi evidenziava la quasi “totale impossibilità” da parte del suo Paese, di poter sostituire le importazioni russe di gas in Europa. Pur non escludendo ulteriori forniture ai paesi occidentali, il Ministro sottolineava come “non esista alcun singolo paese che possa sostituire i volumi di gas forniti dalla Russia e che Doha non potrebbe farlo neppure con forniture LNG, in quanto le stesse risultano essere già legate a contratti a lungo termine siglati con paesi asiatici. Quindi la sostituzione del gas russo è impossibile”. Le dichiarazioni del Ministro avevano pertanto evidenziato come, il Qatar per poter soddisfare l’esigenza di gas occidentale avrebbe dovuto chiedere ai suoi clienti storici (come India, Corea del Sud, Giappone, etc.) di accettare una riduzione delle attuali forniture in deroga ai contratti esistenti.
Tra gli altri paesi della regione, l’Algeria, in qualità di terzo fornitore di gas dell’Unione Europea (dopo Russia e Norvegia), sarebbe in grado di aumentare il flusso di gas verso l’Occidente, ma le diverse problematiche regionali e la sua politica interna potrebbero ostacolare le capacità di aumentare le esportazioni. Allo stesso modo, la Libia potrebbe avere le potenzialità per alleviare la carenza energetica, alla luce della forte produzione di gas e della vicinanza all’Europa, ma l’instabilità politica la rendono un partner energetico problematico, ed i conflitti regionali ne limitano le capacità di aumentare le esportazioni di gas.
CONCLUSIONI
Anche se le soluzioni alla dipendenza dell’Europa dalle forniture energetiche russe non sembrano essere facilmente disponibili, la crisi ucraina ha comunque impresso slancio nel processo teso a rimodellare la politica energetica attraverso lo sviluppo parallelo sia di opzioni a medio e lungo termine che a breve termine.
Il processo di diversificazione degli approvvigionamenti “a medio e lungo termine” oltre ad opzioni che prevedano l’importazione di LNG ed allo sfruttamento del corridoio meridionale del gas (già descritte in precedenza), dovrà prevedere un impegno europeo a sottoscrivere contratti fissi a lungo termine, anche qualora questi dovessero risultare potenzialmente costosi a causa dell’incertezza che circonda la domanda di gas. Quasi sicuramente l’allontanamento dal carbone provocherà un ulteriore aumento della domanda di gas, essendo un complemento fondamentale delle energie rinnovabili, compensando l’intermittenza e la rigidità di queste ultime. D’altra parte, la domanda di gas dovrebbe diminuire qualora l’Europa voglia raggiungere i suoi obiettivi di emissione.
A lungo termine, garantire la sicurezza energetica richiederà pertanto investimenti massicci in nuove capacità rinnovabili: le quali dovranno accelerare rapidamente, unitamente allo sviluppo delle capacità nucleari ed idroelettriche esistenti. Dal punto di vista climatico, la cattura, l’uso e lo stoccaggio del carbone potrebbero aiutare a mitigare alcuni degli effetti dei combustibili fossili su cui potremmo fare affidamento durante la transizione. Ovviamente anche il settore dei trasporti sarà fondamentale, quindi l’Europa dovrà sostenere il lancio dell’infrastruttura necessaria per i veicoli elettrici. Potrebbe essere altrettanto importante sostenere l’intransigenza nella ricerca di miglioramenti dell’efficienza energetica per ridurre la domanda complessiva di energia.
Qualora l’Europa fosse costretta ad adeguarsi rapidamente, alcune opzioni a breve termine sarebbero disponibili, anche se economicamente poco sostenibili: anche se Regno Unito ed Unione Europea hanno espresso la volontà di voler perseguire tali alternative, anche se risulterebbero di difficile realizzazione a causa di evidenti problematiche logistiche e tecniche: ad esempio, il rapporto REPowerEU della Commissione Europea prevede il reperimento di 50 miliardi di metri cubi dalle importazioni di LNG entro il prossimo anno, ma tale volume risulta essere 2,5 superiore a quello stimato dall’International Energy Agency (IEA) e la Commissione, tra l’altro, ha omesso di indicare quelli che potrebbero essere gli eventuali fornitori.
Inoltre, molte delle misure pianificate hanno un orizzonte temporale lungo e non rispondenti alle preoccupazioni immediate. Una possibilità percorribile potrebbe essere la sostituzione del gas con il carbone, alla luce della facilità di approvvigionamento e della forte presenza di centrali elettriche a carbone ancora presenti in Europa. L’IEA ha stimato che, se utilizzata, questa capacità energetica alternativa potrebbe compensare il fabbisogno di circa 22 miliardi di metri cubi di importazioni di gas dalla Russia, ma questa soluzione potrebbe essere considerata poco percorribile dai responsabili politici, a causa degli enormi costi previsti dal cambiamento climatico, ai sensi di quanto indicato dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico.
I Governi potrebbero valutare la possibilita’ di sostenere politiche orientate alla domanda, che includano campagne di spegnimento delle caldaie durante i mesi freddi e dei condizionatori d’aria in estate – magari con incentivi economici – e l’utilizzo monitorato tramite contatori intelligenti. A parte i costi immediati associati, i Governi dovranno valutare effetti più ampi, derivanti dagli effetti negativi della politica sulla produttività (gia’ oggetto di preoccupazione a causa degli scarsi livelli di produzione), dagli aumenti smisurati dei prezzi di petrolio e gas e da ulteriori sanzioni in arrivo, che potrebbero causare carenze nell’immediato futuro ed innescare un’inflazione significativa ed un enorme malcontento popolare, come accaduto nel 1973 e nel corso di altre crisi energetiche.
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