Donne militari e integrazione a vent’anni di distanza.

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“Donne militari e integrazione a vent’anni di distanza”, una riflessione di Arturo Cirillo

Interessante l’articolo di D- La Repubblica sulle donne militari: Il 2020, un anno di “donne al vertice”: Kamala Harris e le altre (anche italiane).

La strada verso la parità di genere è ancora lunga e in salita, ma in un anno così difficile molte donne nel mondo hanno conquistato posizioni prestigiose.

Questa l’affermazione contenuta nell’articolo. Quale è, invece, la condizione delle donne militari a più di vent’anni di distanza?

Nel 2000, questa importante innovazione è avvenuta in concomitanza con un generale riassetto organizzativo delle Forze Armate e del Corpo della Guardia di Finanza. Se da un lato, sin dai primi anni, si è cercato di perseguire la piena integrazione femminile, prevedendo gli stessi percorsi di selezione, reclutamento e carriera per uomini e donne, dall’altro ne sono state ignorate le differenze.

[F.P.]

Donne militari e integrazione a vent’anni di distanza, di Arturo Cirillo

Sono trascorsi vent’anni dall’approvazione del D.Lgs. n. 24/2000, in attuazione della legge n. 380/99, con la quale le Forze Armate e la Guardia di Finanza hanno schiuso le loro porte alle donne, avviando quel processo di trasformazione che altri Corpi di Polizia avevano già da tempo percorso.

Ogni inizio contempla, tuttavia, un periodo di integrazione, tale da permettere alle “parti nuove”, in questo caso femminile, di mescolarsi a una cultura organizzativa consolidatasi su modelli valoriali maschili.

Quando questo si verifica concretamente, i contesti di lavoro si arricchiscono di nuove sfumature emotive e competenze specifiche, soprattutto quando detti luoghi sono ancorati a rigidità espressive ormai desuete e cadenti.

L’impressione è, però, che questo lento processo di armonizzazione delle parti si sia limitato ad una forma di incorporazione.

Nel gergo comune, infatti, una donna militare, o appartenente alle forze di polizia, è brava quando ha gli attributi, ovverosia quando ha le capacità di un uomo; quando, cioè, presenta caratteristiche maschili, qualsiasi cosa questo voglia dire.

In parte, ciò è dovuto a sistemi organizzativi molto rigidi, dove il nuovo si muove con tempi emotivi burocratizzati.

Il rischio di fallimento è alto, anche in ragione del fatto che la donna è numericamente meno rappresentata e che, pertanto, si trova a cedere il fianco ad un modello maschile ormai cristallizzato.

Un modello perso nell’idealizzazione di virili virtù e di spirito di sacrificio, smarrito in arcaici espressioni autocelebrative.

Le forme del linguaggio, utilizzate nelle comunicazioni ufficiali, ne sono un esempio.

In una benemerenza degli anni ‘40, ma chi ne ha mai letta una di recente sa che il linguaggio non è poi tanto cambiato, veniva riportato:

“(…) Ammirevole esempio di virile coraggio e di elette virtù militari.

Oggi tocca chiedersi, invece, se siano possibili nuovi modi di essere coraggiosi, se siano disponibili virtù militari altre da quelle proposte in passato.

Detta rigidità organizzativa si muove ad un livello più profondo, anche sul piano personale del singolo.

La componente emotiva e individuale subisce, troppo spesso, un processo di appiattimento in favore di un tanto decantato stereotipo del militare o del poliziotto tipo, cui anche la donna sembra doversi conformare.

Che il femminile fatichi a trovare strada all’interno di questi contesti è chiaro anche osservando i luoghi di lavoro.

La dott.ssa Francesca Beneduce, presidente dell’Osservatorio Nazionale per i Diritti della Salute delle FF.AA. e dei militari, durante un suo intervento denunciava, quale esempio, la mancanza di bagni appositi per il personale femminile.

Ciò, in un qualsiasi contesto pubblico o privato, creerebbe indignazione.

Nei nostri contesti militari, invece, si passa dal riconoscimento del fatto che sia necessario ripensare gli spazi comuni ad una modalità che fantasmaticamente pare dire: “le donne non sono diverse da noi, le consideriamo uguali al punto  da destinare loro gli stessi bagni”.

Negando, in questo modo, il seppur minimo pudore proprio e il tanto decantato decoro.

Integrare il femminile vuol dire accogliere nella pienezza, valorizzare le differenze, ricreare luoghi in grado di ricevere veramente l’altro.

Un po’ come quando sta per nascere un figlio e si prepara il cuore anche apprestando la sua culla, i luoghi dove vivrà, dove mangerà.

Permettere che avvenga gioverebbe a tutti noi, perché sarebbe la prima importante lezione che avremmo imparato dall’ingresso delle donne nelle FF.AA. e nel Corpo della Guardia di Finanza.

Fonte: SAF – Sindacato Autonomo dei Finanzieri


Arturo Cirillo cura lo sportello d’ascolto psicologico rivolto agli iscritti e familiari del SAF – Sindacato Autonomo dei Finanzieri. Uno spazio di supporto e orientamento, in cui esprimere liberamente dubbi, difficoltà dove poter trovare un aiuto psicologico per poter affrontare disagi personali e relazionali.

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