La Conference of the Parties (Conferenza delle Parti) è stata un successo o solo BLABLABLA. L’approfondimento sul vertice internazionale COP26.
La Scozia ha ospitato la COP26 sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite dal 31 ottobre al 12 novembre 2021. I negoziati sul clima hanno rappresentato il più grande vertice internazionale che il Regno Unito abbia mai ospitato: oltre 30.000 delegati, tra cui Capi di Stato, esperti climatici ed attivisti, riuniti per concordare un piano d’azione coordinato per affrontare i cambiamenti climatici.
La COP26 si è conclusa, e sebbene si siano visti progressi rimarchevoli in alcune aree come l’abbandono dell’uso dei combustibili fossili, la lotta alle emissioni di metano e la protezione della natura e della biodiversità, il reale obiettivo da raggiungere risulta essere ancora lontano.
DA KIOTO AD OGGI, 25 ANNI DI NEGOZIAZIONI SUL CLIMA
COP è l’acronimo inglese di Conference of the Parties (Conferenza delle Parti) e si riferisce all’organo direttivo di trattato (o convenzione) internazionale. La crescente preoccupazione da parte della comunità scientifica sui potenziali effetti del cambiamento climatico spinse le Nazioni Unite, nel 1992, a dotarsi di un quadro d’azione per combattere l’aumento delle temperature: Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). La stragrande maggioranza dei Paesi (ad oggi 197) si unirono sin da subito a questo nuovo trattato internazionale (UNFCCC), impegnandosi a trovare strategie per ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra – causa principale del surriscaldamento globale.
Nel 1995, i Paesi aderenti a tale trattato diedero il via alle primissime negoziazioni sul clima, riunendosi a Berlino nella prima Conferenza delle Parti, la COP1. Di seguito le tappe salienti di oltre vent’ani di lotta climatica, tra accordi, impegni stabiliti e chiarimenti su responsabilità che hanno poi definito l’approccio mondiale al cambiamento climatico.
COP3: Il Protocollo di Kyoto (1997). La prima grande conquista della comunità’ internazionale sul clima fu la stesura del Protocollo di Kyoto, il primo trattato internazionale che prevedeva un impegno concreto e giuridicamente vincolante da parte dei Paesi sviluppati a diminuire le proprie emissioni. Nello specifico, il Protocollo di Kyoto richiedeva una diminuzione del 5% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, da realizzarsi entro il 2012. La ratificazione del Protocollo da parte dei Paesi fu molto lenta, in quanto quello del cambiamento climatico era ancora un argomento molto controverso. Il Protocollo di Kyoto ottenne le firme necessarie per entrare in vigore solo nel 2005.
COP13: la Bali Road Map (2007). Alla tredicesima conferenza, i Paesi adottarono la cosiddetta Bali Road Map, un piano che ancora oggi struttura le negoziazioni in quattro temi principali: mitigazione, adattamento, finanza climatica e tecnologia.
COP14: Aiutare i Paesi in via di sviluppo (2008). Con la COP14, svoltasi in Polonia, avvenne il lancio dell’Adapatation Fund, un fondo stanziato per sostenere i Paesi in via di sviluppo nei loro progetti di adattamento al cambiamento climatico.
COP15: L’Accordo di Copenaghen (2009). Per la prima volta , durante i lavori di Copenaghen, si parlò di cercare di contenere l’aumento della temperatura media mondiale al di sotto dei 2°C. L’Accordo di Copenaghen, tuttavia, e’ spesso ricordato come “un’occasione persa”, in quanto gli impegni presi dai Paesi in tale occasione non furono vincolanti e sicuramente non abbastanza ambiziosi. Comunque, si iniziò a delineare la necessità di produrre un accordo piu’ dettagliato che vincolasse legalmente l’intera comunità’ internazionale alla lotta al cambiamento climatico.
COP17: un nuovo accordo universale (2011). Alla Conferenza di Durban, in Sudafrica, si capì l’importanza di dare un nuovo taglio alle negoziazioni internazionali sul clima, rendendole meno centralizzate, e lasciando ad ogni Paese il compito di stabilire il contributo che avrebbe inteso dare per limitare il cambiamento climatico. I Paesi decisero quindi di iniziare a lavorare ad un nuovo accordo universale sul clima, da raggiungere entro il 2015 (il futuro Accordo di Parigi).
COP21: l’Accordo di Parigi (2015). Lo storico accordo firmato nel 2015 prevedeva l’impegno, da parte di tutta la comunità’ internazionale, di mantenere l’aumento totale della temperatura ben al di sotto dei 2°C, e possibilmente entro 1.5°C. Per fare questo i Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi si impegnarono a ridurre drasticamente le proprie emissioni per gli anni successivi, con lo scopo di raggiungere l’obiettivo “zero emissioni nette” entro il 2050. Uno dei principali elementi introdotti dall’Accordo di Parigi fu la produzione, da parte di ogni Paese, di una Nationally Determined Contribution (NDC) – cioè un piano da aggiornare e ripresentare ogni 5 anni che delineasse in modo chiaro e conciso la strategia che ogni Paese avrebbe inteso adottare al fine di mitigare (ridurre le emissioni) e adattarsi (ridurre gli impatti) ai cambiamenti climatici.
Molte delle norme alla base delle modalità di attuazione dell’accordo di Parigi vennero rese esecutive nel 2018. Tuttavia, da allora sono rimaste in sospeso alcune decisioni, che potrebbero avere importanti implicazioni per il perseguimento dell’ambizione climatica.
I PUNTI CHIAVE DELLA CONFERENZA
Riconoscendo l’urgenza della sfida, i ministri di tutto il mondo hanno convenuto di organizzare un nuovo meeting per il 2022, nel corso del quale dovrà essere presentata la pianificazione della riduzione delle emissioni da raggiungere nel 2030, al fine di contenere l’aumento delle temperature, causate dal riscaldamento globale, al di sotto dei 2 gradi centigradi (intorno ai 1.5 gradi Celsius). I ministri hanno anche convenuto che i paesi più sviluppati dovranno fornire urgentemente risorse aggiuntive per supportare quei paesi che hanno problemi oggettivi a tutelarsi dalle conseguenze pericolose e costose dei cambiamenti climatici (dalla diminuzione dei raccolti alle tempeste devastanti).
Per la prima volta in una conclusione della COP, è stato introdotto un riferimento esplicito alla riduzione del consumo di carbone, le cui emissioni rappresentano quasi il 40% della CO2 emessa su scala globale. I lavori della Conferenza hanno comunque prodotto progressi rimarchevoli ed evidenziato aree che dovranno essere ancora sviluppate:
- Connessione tra finanziamenti pubblici e finanziamenti privati: l’impegno da parte delle istituzioni finanziare (che rappresentano trilioni di dollari) ad affrontare il cambiamento climatico: la vera problematica sarà comunque indirizzare tali finanziamenti nella giusta direzione. La stragrande maggioranza dei finanziamenti per il clima del settore privato oggi è destinata ai paesi sviluppati e alle tecnologie comprovate, anche se le tecnologie in fase iniziale e i mercati in via di sviluppo avranno bisogno di alcuni dei maggiori investimenti per limitare il riscaldamento globale a 1.5 gradi Celsius o 2.7 gradi Fahrenheit.
- Una vittoria dell’articolo 6: i paesi hanno raggiunto un accordo sull’articolo 6 dell’accordo di Parigi, che regolerà i mercati internazionali del carbonio e garantire’ che le riduzioni delle emissioni non vengano conteggiate due volte tra i paesi. L’accordo potrebbe anche favorire la crescita nei mercati volontari del carbonio in cui le aziende acquistano crediti di carbonio per contribuire a raggiungere i loro obiettivi di zero netto.
- Salvaguardare la natura e stop alla deforestazione: gli impegni per preservare o ripristinare la natura come parte dell’affrontare il cambiamento climatico hanno attirato piu’ attenzione alla COP26 rispetto agli anni passati, in particolare sulla questione dell’arresto della deforestazione. Piu’ di 100 paesi, tra cui Brasile, Cina, Russia e Stati Uniti, si sono impegnati a porre fine alla deforestazione entro il 2030. E piu’ di 30 intuizioni finanziarie con oltre 8.7 trilioni di dollari di asset in gestione si sono impegnate ad eliminare gradualmente la deforestazione dai loro portafogli di materie prime entro il 2025.
- Maggiore responsabilità verso gli impegni climatici: molti progressi sono stati sicuramente osservati durante la COP26 in termini di accordi governativi ed impegni del settore privato, ma la responsabilità dovrà’ essere rafforzata. Ad esempio, i circa 200 paesi partecipanti alla conferenza si sono accordati nel ridurre gradualmente le centrali elettriche a carbone senza sosta e la maggior parte dei sussidi ai combustibili fossili, impegnandosi allo stesso tempo a fissare obiettivi di riduzione di emissioni più ambiziose entro un anno, invece che tra pochi anni, quando il prossimo pacchetto di impegni nazionali sarà scaduto. Ma tali paesi dovranno rispettare tali impegni con politiche e programmi correlati, e le aziende e gli investitori avranno bisogno di standard coerenti per monitorare i progressi verso tali impegni.
- Focus sull’intensità’ di carbonio degli edifici: mentre gran parte l’attenzione alla COP26 era incentrata sul “phase-out” di carbone, gas, petrolio e di tutti i sussidi ai combustibili fossili, le emissioni del settore degli edifici rimangono una sfida chiave che deve ancora essere pienamente affrontata e sviluppata, sia a livello governativo che privato. Gli edifici esistenti e le nuove costruzioni sono le fonti di quasi il 40% delle emissioni globali di carbonio legate all’energia e utilizza la metà di tutti i materiali estratti, secondo quanto riportato dal World Green Building Council (un gruppo no-profit statunitense). Ma sapere se la COP26 ha aiutato a spostare l’ago su questo tema diventerà’ probabilmente più chiaro nei prossimi anni, man mano che gli interessi governativi svilupperanno le azioni per decarbonizzare tutti gli aspetti della loro economia.
La COP26 ha finalmente posto, in primo piano, la questione critica di perdite e danni. Il cambiamento climatico ha gia’ causato devastanti perdite di vite, terra e mezzi di sussistenza. Alcuni danni risulterebbero essere permanenti: da intere comunità’ spazzate via, ad isole sommerse dalle onde, a risorse idriche in fase di prosciugamento. Un certo numero di paesi vulnerabili (tra cui la Cina) al clima avevano richiesto che la COP26 creasse una struttura finanziaria dedicata a perdite e danni, ma tali proposte sono state respinte da nazioni sviluppate come gli Stati Uniti ed Unione Europea, ed ottenendo unicamente la la creazione di un nuovo dialogo dedicato alla discussione di possibili e futuri accordi per il citato finanziamento.
Sebbene questo risultato possa considerasi insufficiente, offre comunque spazio per lo sviluppo di soluzioni concrete che possano portare a maggiori progressi sui finanziamenti nel prossimo futuro. In tale ottica i paesi hanno concordato comunque di rendere operativo e finanziare la rete di Santiago su perdite e danni, istituita durante i lavori della COP25 di Madrid, e di catalizzare quell’assistenza tecnica, di cui i paesi in via di sviluppo hanno bisogno per affrontare perdite e danni in modo solido ed efficace. Perdite e danni saranno probabilmente uno dei problemi più grandi che porteranno al vertice COP27 in Egitto il prossimo anno.
QUALI SVILUPPI AL DI FUORI DEI NEGOZIATI SONO STATI I PIU’ SIGNIFICATIVI?
Durante le due settimane del vertice sono stati fatti molti annunci significativi al di fuori dei negoziati. I primi due giorni sono stati caratterizzati da oltre 100 annunci di alto livello durante il “World Leaders Summit”, tra cui un coraggioso impegno dell’India a raggiungere le emissioni nette zero entro il 2070, supportato da obiettivi a breve termine (compresi ambiziosi obiettivi di energia rinnovabile per il 2030),109 paesi hanno sottoscritto il Global Methane Pledge per ridurre le emissioni del 30% entro il 2030 e un impegno di 141 paesi per fermare e invertire la perdita di foreste e il degrado del suolo entro il 2030 (supportato da $18 miliardi di finanziamenti, inclusi 1.7 miliardi di dollari dedicati al sostegno delle popolazioni indigene).
Un gruppo di 46 paesi (tra cui Regno Unito, Canada, Polonia e Vietnam) si è impegnato, altresì, ad eliminare gradualmente il carbone nazionale, mentre altri 29 paesi (tra cui Canada, Germania, Italia e Regno Unito) si sono impegnati a porre fine al nuovo sostegno pubblico internazionale diretto ai combustibili fossili entro la fine del 2022 e reindirizzare questo investimento verso energia pulita. La Beyond Oil and Gas Alliance, guidata da Costa Rica e Danimarca (e tra i cui membri principali troviamo Francia, Groenlandia, Irlanda, Quebec, Svezia e Galles) si è impegnata a porre fine ai nuovi round di licenza per l’esplorazione e la produzione di petrolio e gas e fissare una data di fine allineata con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Oltre 400 società’ finanziarie che controllano oltre $130 trilioni di attività si sono impegnate ad allineare i loro portafogli a zero entro il 2030. Questa nuova alleanza dovrebbe aiutare a capire come banche, gestori patrimoniali e proprietari di attività’ riconoscano pienamente l’interesse commerciale per l’azione climatica e i rischi significativi di investire nell’economia ad alto contenuto di carbonio ed inquinante del passato. La sfida ora, per queste istituzioni, dovrebbe consistere nell’aumentare la citata azione climatica secondo un percorso scientifico, nel fissare obiettivi intermedi che si allineino con i loro obiettivi netti-zero, e riferire in modo trasparente sui loro progressi.
Oltre al patto per il clima, in occasione della COP26 i paesi hanno anche assunto audaci impegni collettivi per ridurre le emissioni di metano, arrestare e invertire la perdita di foreste, allineare il settore finanziario con lo zero netto entro il 2050, abbandonare il motore a combustione interna, accelerare l’eliminazione graduale del carbone, e porre fine ai finanziamenti internazionali per i combustibili fossili, solo per citarne alcuni. Glasgow è stata pertanto una piattaforma per il lancio di partnership settoriali innovative e nuovi finanziamenti per sostenerle, con l’obiettivo di rimodellare ogni settore dell’economia nella scala necessaria per realizzare un futuro netto.
LA COP26 E’ STATO UN SUCCESSO?
Il tanto atteso vertice sul clima COP26 è giunto al termine, facendo importanti progressi in una serie di aree, ma non abbastanza. Il paesi partecipanti non hanno ancora intrapreso seriamente il percorso ottimale per sconfiggere la crisi climatica. In questo particolare momento storico, segnato da incertezza, sfiducia e crescenti impatti climatici, la COP26 ha comunque confermato quanto sia essenziale un’azione globale collettiva per affrontare la crisi climatica. Nonostante `i notevoli progressi su più fronti, gli impegni nazionali in materia di clima e finanziamento sono ancora ben lontani da ciò che è necessario per affrontare la sfida climatica. Questi progressi dimostrano comunque che i meccanismi dell’accordo di Parigi per rafforzare l’ambizione e la finanza stiano comunque producendo dei risultati, anche se ancora imperfetti.
Nei prossimi anni, i principali responsabili delle emissioni dovrebbero aumentare i loro obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 per allinearsi a 1.5 gradi Celsius, creando approcci più’ solidi al fine di responsabilizzare tutti gli attori sottoscrittori degli impegni assunti a Glasgow ed occorrerebbe porre molta più attenzione su come soddisfare le esigenze urgenti dei paesi vulnerabili al clima per aiutarli ad affrontare gli impatti climatici e la transizione verso economie a zero. Il patto per il clima di Glasgow dovrebbe appunto delineare i passaggi chiave da percorrere, e solo dopo aver raggiunto gli obiettivi prefissati, che probabilmente si potrà raggiungere il suddetto obiettivo di 1.5 gradi C e quindi costruire un futuro più sicuro.
Sull’impatto e la sostenibilità’ degli impegni presi esistono comunque pareri discordanti. L’agenzia Internazionale dell’Energia ha indicato che essi limiterebbero l’incremento di temperatura alla fine del secolo a 1.8°C e sarebbero, grosso modo, in linea con gli accordi di Parigi. Altre fonti sono meno ottimiste. Il Climate Action Tracker, un’organizzazione che monitora e calcola gli effetti sul clima degli impegni di decarbonizzazione sula base degli accordi pronostica un riscaldamento di 2,4°C per la fine del secolo.
I risultati prodotti dalla COP26 sono stati comunque i frutti di un asse tra India, Cina e Stati Uniti, con il quale le tre potenze (3 miliardi di persone) hanno deciso anche per gli altri 194 partecipanti ed hanno fornito l’ennesima prova di come gli equilibri mondiali siano cambiati. Infatti, nella sessione finale della conferenza, l’India (supportata da Pechino) ha ottenuto l’inserimento di un emendamento che modificasse il testo riguardante il carbone, il maggior responsabile delle emissioni responsabili del gas serra, smorzando di fatto l’efficacia dell’impegno preso e chiedendo di sostituire la parola phase out (eliminazione graduale) con phase down (riduzione graduale).
Nonostante l’opposizione di molti, i partecipanti hanno comunque approvato il Patto per il clima di Glasgow con la modifica proposta. Il testo finale cosi’ approvato ha permesso il raggiungimento di quei progressi già esposti in precedenza, ma soprattutto ha consentito a Cina e Stati Uniti di raggiungere una intesa strategica per la cooperazione su metano, deforestazioni ed emissioni (ad esclusione del carbone, sul quale entrambi i paesi non hanno annunciato l’uscita definitiva). Al termine della Conferenza Pechino e Washington hanno rilasciato una dichiarazione congiunta (in due conferenze stampa separate), in merito a tale accordo, nella quale hanno annunciato di voler ridurre le emisisoni inquinanti entro il 2030 (d’altronde, proprio Cina e Usa sono i due paesi principalmente responsabili del cambiamento climatico: sono i più grandi emettitori al mondo di gas serra).
Tale accordo arrivando in un momento non troppo florido delle relazioni diplomatiche tra i due, in considerazione delle tensioni di questo ultimo periodo (come la crisi trilaterale che interessa Usa-Cina-Taiwan, oppure come l’episodio delle ambasciate statunitense e cinese dello scorso anno) è stata valutata positivamente dallo stesso Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. I termini dell’intesa non sono stati definiti, ma potrebbe trattarsi di una svolta nella lotta ai cambiamenti climatici, considerato che Usa e Cina, oltre ad essere le due principali economie mondiali, sono anche i Paesi che più di ogni altro inquinano il pianeta. Comunque l’intesa ci potrà fornire indicazioni sulla reale volontà di voler rafforzare l’azione contro i cambiamenti climatici.
Fonti:
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https://www.repubblica.it/esteri/2021/11/02/news/glasgow_deforestazione_cop26-324679678/?ref=search
https://www.iea.org/commentaries/cop26-climate-pledges-could-help-limit-global-warming-to-1-8-c-but-implementing-them-will-be-the-key?utm_source=SendGrid&utm_medium=Email&utm_campaign=IEA+newsletters
https://climateactiontracker.org
https://www.poweringpastcoal.org
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https://www.spglobal.com/esg/insights/you-need-near-term-accountability-to-meet-long-term-climate-goals
www.spglobal.com/esg/insights/at-cop26-governments-and-businesses-turned-a-new-leaf-on-protecting-nature-to-halt-climate-change
https://www.spglobal.com/platts/en/market-insights/latest-news/energy-transition/111421-cop26-nations-strike-deal-on-international-carbon-markets-at-glasgow-summit
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https://www.wri.org/insights/what-cop26-means-forests-climate
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https://www.gov.uk/government/publications/cop26-declaration-zero-emission-cars-and-vans/cop26-declaration-on-accelerating-the-transition-to-100-zero-emission-cars-and-vans