La sindacalizzazione è il futuro. Stipendi, pensioni, incentivi e tutele. L’editoriale dek segretario del SINAFI.
“E’ accaduto così, in tutte le epoche del mondo, che alcuni hanno lavorato e altri hanno, senza lavoro, goduto di una gran parte dei frutti. Questo é sbagliato e non deve continuare“.
I tempi in cui Pier Paolo Pasolini, in relazione agli scontri di Valle Giulia, definiva i Poliziotti e, con essi tutti coloro che indossavano un’uniforme, figli dei poveri che vengono dalle periferie, contadine o urbane che siano, sono senz’altro finiti.
Denigrava, peraltro, l’abbigliamento che indossavano, ritenuto uguale a quello dei pagliacci, con stoffa ruvida che puzzava di rancio, fureria e popolo, nonché collocava in un certo alveo la loro condizione sociale e, peggio di tutto, lo stato psicologico cui erano ridotti (per una quarantina di mille lire al mese): senza più sorriso, senza più amicizia col mondo, separati, esclusi (in una esclusione che non ha uguali); umiliati dalla perdita della qualità di uomini per quella di poliziotti.
Verità assolute, rapportate a quegli anni bui, seppur connotati da una ripresa economica post bellica, che oggi non trovano più alcuna correlazione con la condizione sociale e lavorativa degli appartenenti alle Forze di Polizia che, oggigiorno, sono pienamente integrati nella società civile, dotati di conoscenze e cultura scolastica e professionale elevata che ha permesso di superare quella separatezza vissuta per tanti anni.
La condizione sociale degli appartenenti alle Forze di Polizia é cambiata profondamente rispetto al passato, grazie soprattutto all’evoluzione che ha avuto la società nel corso degli anni, ma anche per merito di una riforma storica della Polizia di Stato che, con la smilitarizzazione e la sindacalizzazione é riuscita a dare maggiore dignità alle funzioni di Polizia e ai suoi operatori, peraltro creando un effetto domino anche nelle altre forze di Polizia.
Nei giorni più contemporanei e più precisamente nel 2010, in concomitanza con il blocco delle retribuzioni e delle dinamiche salariali inserite dal Governo in carica in quegli anni, anche al fine di contrastare una vera e propria demolizione in atto dei salari dei pubblici dipendenti e tra questi in special modo degli appartenenti al comparto difesa e sicurezza a causa della loro peculiarità (poi solo in parte recuperati con un fondo perequativo istituito anni dopo) si riuscì a far approvare una norma sulla specificità del personale del comparto difesa e sicurezza, la 183/2010.
Una mossa strategica che sarebbe servita a contrastare l’assottigliamento delle retribuzioni in atto e il tentativo, che già si percepiva da allora e concretizzatosi con l’avvento, dopo pochi anni, della riforma Fornero che mirava inequivocabilmente anche ad armonizzare i trattamenti pensionistici del personale con quelli del personale del Pubblico impiego.
Ancora si aspetta, a distanza di undici anni dalla sua approvazione, di vedere il plus valore di questa norma.
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Ad oggi, infatti, gli aumenti stipendiali del personale del comparto non si differenziano molto da quelli del pubblico impiego, creando di fatto una vera e propria equiparazione, ma senza tenere conto della sostanziale differenza, in termini di limitazioni e gravosità, degli uni rispetto agli altri, ma soprattutto dell’impostazione concettuale che esiste tuttora nell’alta dirigenza pubblica (MEF, Ragioneria, ecc.) che muove realmente le fila e contribuisce sostanzialmente a determinare gli aumenti stipendiali del personale del comparto difesa e sicurezza, dimostrando avversità verso una giusta e netta differenziazione che il personale del comparto rivendica.
I rinnovi contrattuali, ormai da diversi anni, consistono meramente in una sorta di automatismi stipendiali, le cui forme di contrattazione presso la Funzione Pubblica, a causa dell’esiguità delle risorse stanziate, che dovrebbero servire ogni tre anni a valorizzare economicamente e socialmente gli appartenenti al comparto, non sono più idonei, così come concepiti, a supportare le esigenze ataviche ormai incancrenitesi.
Le indennità accessorie che dovrebbero ristorare la peculiarità e la gravosità delle attività svolte dal personale, già di per sé inadeguate, sono ferme a 10/15 anni fa, la maggior parte degli aumenti dei trattamenti stipendiali principali riferiti ai primi anni del triennio vengono ristorate solo dalla vacanza contrattuale, all’incirca pari all’inflazione e poi andranno a regime con cifre di circa 60/70 euro mensili ed inoltre non si riuscirà ad apportare, nella parte normativa, alcuna significativa innovazione, atteso che ogni previsione comporta riflessi economici.
In altre parole, il quadro che ormai ci viene consegnato da una società e da una classe politica e dirigenziale che probabilmente ancora considera gli appartenenti alle Forze di Polizia come quelli descritti nelle poesie di Pasolini, peraltro costretti in modo inerme a subire sputi, sassate e violenze di ogni genere per colpa di una legislazione permissiva, ci deve far capire che l’unica strada per poter riequilibrare lo stato delle cose e rivendicare migliori e più tutelate condizioni di lavoro, passa inevitabilmente per il processo di sindacalizzazione dei Corpi di polizia ad ordinamento militare e delle Forze Armate che, tanti attori protagonisti, stanno cercando di snaturare e minare.
E allora l’unico modo per costruire un comparto di cinquecentoventimila donne e uomini, forte e con un maggiore potere contrattuale e rivendicativo, é quello di invitare tutti ad iscriversi ai sindacati e lavorare per un nuovo patto sociale che rivisiti radicalmente il ruolo delle Forze di Polizia e con esso l’importanza della delicata funzione che svolgono, altrimenti anche complice la Pandemia, la crisi economica e una certa impostazione della classe politica e dirigente, le condizioni sociali e lavorative peggioreranno giorno dopo giorno.
E’ un imperativo categorico e un dovere morale al quale nessuno si può sottrarre se si vuol migliorare il proprio futuro!
di Eliseo Taverna – SINAFI