Se gli occhi di un bimbo vedono il mondo in bianco e nero

DIVORZIO

Se gli occhi di un bimbo vedono il mondo in bianco e nero. Il nostro punto di vista sugli emendamenti alla riforma del processo civile di famiglia.

Chi scrive non può certo essere accusato di maschilismo, né tantomeno di essere giustizialista. E chi scrive non si ritiene certo un illuminato del diritto, o dei diritti. Semplicemente, chi scrive, vuole offrire un punto di vista, e magari ottenere opinioni altrui su un argomento che non detiene certo il record di visibilità mediatica e che invece, fluttuante nei meandri delle commissioni parlamentari, a latere di un aperitivo all’aperto senza necessità del green pass ed il commento tecnico ed estremamente competente sulle scarpe di Marcell Jacobs, rischia di cassare dal linguaggio dei bambini la parola papà. Qualche volta, anche se meno spesso, anche mamma.

Il disegno di legge è quello classificato al Senato della Repubblica con il numero 1662 e riguarda la “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa alle controversie”. Orbene, tra una “opposizione allo stato passivo”, tra un “attore” ed una “replica”, una “comparsa conclusionale” e la “deduzione delle questioni assorbite”, nella parte dedicata al diritto di famiglia, con l’emendamento 15.0.8/2 (che poi, in realtà, è un emendamento all’emendamento) alcuni senatori vorrebbero, in parole povere, che nelle dinamiche che contraddistinguono il processo di separazione di una coppia con figli, il Giudice (che, male non fa ricordarlo, è lo stesso che deve occuparsi di fallimenti ed eredità, non essendo prevista in Italia la figura di un giudicante specializzato in diritto di famiglia) dovrà tener conto di eventuali denunce di violenza domestica o di genere, anche «assistite», come testualmente recita la proposta di modifica. Mi dedico quindi a questo aspetto (che pure apre la discussione su ben altri scenari come le recenti dissertazioni sull’esistenza o meno della PAS o le statistiche sulle false accuse) e tralascio almeno momentaneamente l’approfondimento su altre conseguenze di una eventuale approvazione, che fa registrare ad esempio l’opinabile tentativo – di fatto – di abolire la necessità di conciliare il “supremo interesse del minore” e la “bigenitorialità” (principio fondante della legge 54/06), certificando il divieto di sovrapposizione/sovraordinamento del primo sul secondo; come tralascio anche, e sempre momentaneamente, l’analisi del tentativo di impedire al Giudice togato il ricorso agli esperti nei casi in cui vi sia violenza.

Ripartiamo quindi dal concetto di violenza assistita: cosa significa? Secondo la definizione che offre il Cismai (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia) è «…il fare esperienza da parte del/la bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulti e minori». Ergo: se uno dei coniugi esercita violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica sull’altro in presenza del figlio deve essere valutato dal Giudice come inidoneo e ritengo corretto (ça va sans dire) non affidargli il bambino nemmeno in maniera condivisa. Al netto, come statuisce anche la Cassazione, del necessario contestuale giudizio positivo sul coniuge non maltrattante: «Alla regola dell’affidamento condiviso dei figli minori si può derogare, con provvedimento motivato, disponendo in via di eccezione l’affidamento esclusivo ad un solo genitore, solo allorché sia provata, in positivo, l’idoneità del genitore affidatario, ed in negativo l’inidoneità dell’altro, vale a dire la manifesta carenza o inidoneità educativa del medesimo, o comunque la presenza di una sua condizione tale da rendere l’affido condiviso in concreto pregiudizievole per il minore» (CASS. CIV. SEZ. I, 17 dicembre 2009, N. 26587). Peraltro la “violenza assistita” è ormai prevista come aggravante del reato di maltrattamenti a seguito dell’introduzione, con il DL 14-8-2013 n. 93 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, convertito in l. 15-10-2013 n. 119”, del n. 11 quinques all’articolo 61 cp: «È circostanza aggravante nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all’art. 572 (maltrattamenti contro familiari e conviventi), l’avere commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni 18 ovvero in danno di una persona in stato di gravidanza».

Il vero problema risiede quindi non nella mera introduzione nel testo di legge, come emendamento vorrebbe, delle parole “anche assistite” ma nel fatto che immediatamente dopo così si continua: «…rientranti nel campo di applicazione della convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva con legge 27 giugno 2013 n. 77, allegate, denunciate, segnalate o riferite; l’obbligo di protezione del minore da qualsiasi forma di violenza, anche assistita, che il giudice civile o minorile accerta con urgenza e senza formalità, ai fini dell’emissione di ogni provvedimento che li riguardi, per evitare la vittimizzazione secondaria loro e del genitore che non ha esercitato la violenza; la previsione che l’accertamento incidentale della violenza non sia delegabile dal Giudice».

In altre parole: se durante il processo di separazione dei coniugi emerge, in qualsiasi modo, che uno dei due è uso alla violenza, anche assistita, il Giudice è autorizzato anzi obbligato a tenerne conto per l’emissione dei suoi provvedimenti. Una prima riflessione: che significa “accertare con urgenza e senza formalità”? Come si accerta “con urgenza e senza formalità” se uno dei due coniugi è un violento? Basta l’autocertificazione (mi si passi e mi si scusi il termine) dell’uno o dell’altra? Si chiede all’uno o all’altra: “Scusi, lei è un violento?”. Basta la certificazione di un centro antiviolenza per dimostrare che un padre è violento? Basta una telefonata alla vicina di casa per dimostrare che la madre picchia i figli per farli stare buoni quando deve giocare a burraco con le amiche? Se la violenza è economica, come fare? Come è possibile conciliare l’urgenza di sapere, con la certezza che una decisione così importante per la vita di un bimbo richiede, come stanno effettivamente le cose?

Ovviamente parliamo di casi in cui le condotte violente non siano già emerse in precedenza e valutate dalla competente Autorità Giudiziaria, altrimenti non saremmo nemmeno qui a discutere.

Ma andiamo dunque a vedere, da buoni scolaretti del diritto, quali sono le violenze rientranti nella convenzione di Istanbul e cosa quindi questa prevede: «…in conformità alla Convenzione di Istanbul il Giudice deve assumere informazioni sulle denunce in corso ma soprattutto sulle evidenze e sui fatti accaduti in corso di convivenza e/o relazione e anche dopo la cessazione del rapporto, che corroborino il suo convincimento circa l’esistenza di condotte maltrattanti».( cit. Professoressa Stefania Stefanelli, Professore associato di Diritto privato e di famiglia dell’Università degli Studi di Perugia, docente del Master specialistico multidisciplinare sulla violenza domestica e di genere organizzato dalla Fondazione forense di Cagliari, lezione del 21 febbraio 2020).

Evidenziato, ove necessario, che la legge 54/06 prevede già che il Giudice possa e debba affidare il minore in via esclusiva ad uno solo dei due coniugi quando l’altro abbia esternato condotte violente, ad una lettura sistematica della richiesta modificatoria e bastando allo scopo la semantica, senza scomodare l’ermeneutica, pare però davvero emergere come in un processo di affidamento di un minore si registri il tentativo di imporre al Giudice di fidarsi anche solo di un’autocertificazione. E nemmeno si può dare, del tutto, a mio sommesso avviso, la colpa ad “Istanbul”.

Art. 46: «Le Parti adottano le misure legislative e di ogni altro tipo necessarie per garantire che le seguenti circostanze, purché non siano già gli elementi costitutivi del reato, possano, conformemente alle disposizioni pertinenti del loro diritto nazionale, essere considerate come circostanze aggravanti nel determinare la pena per i reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione: (…) d) il reato è stato commesso su un bambino o in presenza di un bambino». Capito?: “conformemente alle disposizioni pertinenti del loro diritto nazionale”.

Mi chiedo, quindi: una norma di tal fatta, nell’ambito di una dinamica decisoria ove occorre stabilire se un bambino potrà ancora continuare dal giorno dopo a correre, giocare, passeggiare, dormire, ridere, mangiare, nuotare con la propria mamma o con il proprio papà, per rendere (così) il disposto legislativo conforme a Istanbul, è costituzionale? Fermo il principio del libero convincimento e l’autonomia decisionale del Giudice, non dovrebbe aprirsi un costruttivo dibattito sulla valutazione delle prove? E perché il tentativo di escludere le competenze dei professionisti esperti, obbligando il Giudice a rinunciare al loro apporto in processi in cui ci siano asserite violenze, per poterle provare o meno? Peraltro valorizzando oltremisura la testimonianza del minore, laddove personalmente ritengo che l’audizione debba essere, sempre e comunque, esercitata da un pool multidisciplinare di esperti appositamente formati. Altrimenti “Forteto”, “Bibbiano”, “Veleno” rimangono solo nomi o podcast.

Insomma, molto sommessamente ritengo che l’emendamento faccia registrare di fatto un tentativo di abolizione sostanziale della legge 54/06, che pure ci è costata il lavoro di quattro o cinque legislature e una quindicina di anni di tempo, e del principio di bigenitorialità. Sul quale sono – ovviamente – d’accordo ma sulla cui poi effettiva applicazione, nei casi concreti, molti dubbi rimangono. Basti pensare, per tornare all’importanza della semantica, che ancora, dopo quindici anni, vi sono anche addetti ai lavori che continuano a parlare di “diritto di visita”. Il che non merita davvero commento.

Scrive bene, anzi benissimo, Fabio Nestola (https://www.lafionda.com/gli-emendamenti-valente-e-lo-stravolgimento-dei-diritti-dei-minori/): «…la stortura di fondo è una visione adultocentrica del diritto di famiglia: l’affido è una misura di accudimento della quale il beneficiario è il minore, non si tratta di un privilegio assegnato all’adulto che lo “vince” (mi si passi il termine) in tribunale. Prova ne sia che, in caso di revoca della responsabilità ad entrambi i genitori, la prole viene data in affidamento ai servizi sociali come misura di protezione della prole stessa, non certo come “diritto” che il giudice riconosce alle assistenti sociali. Allo stesso modo l’affidamento non può essere un diritto del padre né della madre».

E la sintesi che offre il professor Giovanni Battista Camerini, sul suo profilo Facebook offre invece la chiosa definitiva: «Questi emendamenti alla riforma del processo civile di famiglia oscillano tra il distorto, l’inquietante e l’esilarante. Distorto è (…) confondere processo penale e processo civile. Inquietante è, se l’interesse del minore coincide con il rispetto dei suoi diritti, ritenere che il diritto alla bigenitorialita’ possa fare eccezione. Esilarante è assegnare al Giudice il potere di diagnosticare “disturbi del comportamento” non contemplati, tra l’altro, dalla nosografia psichiatrica. Mala tempora currunt».

Al netto, repetita iuvant, di alcuni riparti dell’emendamento sicuramente condivisibili, laddove si vuole meglio pianificare una adeguata ed immediata reazione a qualsiasi forma di violenza all’interno della famiglia, funzionale ad evitare tragedie, personalmente ritengo non lo si possa fare in questo modo, creandone altre (di tragedie) silenziose e quotidiane. Un mondo visto con gli occhi di un bambino senza padre o senza madre è un mondo in bianco e nero.

di Gianluca Lombardi
Luogotenente dei Carabinieri, criminologo.

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