ORGANIZZAZIONE DEL TRATTATO DI SICUREZZA COLLETTIVA (CSTO) E PRESENZA DELLE TRUPPE RUSSE IN KAZAKISTAN SOTTO LA LENTE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE.
L’aumento del prezzo del gas, che si sta ripercuotendo anche su gran parte dei Paesi dell’UE, come il nostro, ha cagionato le dure proteste nello Stato più grande ed economicamente più forte della regione dell’Asia centrale, id est il Kazakistan. Dopo le continue richieste della popolazione kazaka di calmierare i prezzi per affrontare il duro inverno, la gente è scesa in piazza per contestare le autorità governative.
Già una decina di anni fa, il Kirghizistan ha vissuto un analogo scenario, quando centinaia di migliaia di persone scesero in strada per protestare contro l’aumento delle tariffe dei mezzi pubblici e dei servizi di telefonia mobile. All’indomani di queste proteste la popolazione kirghiza si è ritrovata con un nuovo esecutivo ed una nuova carta costituzionale. Di certo, la situazione kazaka per il momento non si può anche definire nel suo evolversi.
Nel 2019, vi fu un mutamento di governo dove Nursultan Nazarbayev, leader di lunga data dopo la caduta dell’Unione Sovietica, venne fatto accomodare fuori dalla stanza dei bottoni per aprire le porte della gestione del governo a Kassym-Jomart Tokayev. Di conseguenza, le lagnanze, negli ultimi trent’anni, contro il governo di Nursultan Nazarbayev e la sua quasi assoluta autorità de facto hanno senza dubbio portato ad alimentare la rabbia dei kazaki, i quali chiedono non solo che venga adottata la misura di riduzione dei carburanti, ma anche il porre fine alla continua e diffusa corruzione del governo e della liberalizzazione della politica generale.
Per fermare le proteste, che stavano cagionando morti e feriti tra i manifestanti e le forze dell’ordine e portando il Paese nel baratro di un conflitto interno o di una guerra civile, l’attuale presidente Kassym-Jomart Tokayev, comprendendo la situazione che rischiava di finire fuori controllo, si è rivolto all’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza collettiva per ottenere l’assistenza militare intergovernativa euroasiatica, dato che il Kazakistan è Stato membro.
Questa organizzazione internazionale, a carattere regionale, ha come obiettivo primario la garanzia di solidità e sicurezza per contrastare il terrorismo, il separatismo, l’estremismo religioso, le minacce tradizionali e via discorrendo. Il proprio supporto militare alla richiesta kazaka, presentata al Consiglio dell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza collettiva per contrastare la minaccia terroristica, che, il giorno dopo, ha inviato un contingente per riportare la situazione interna allo status quo ante.
Ora, bisogna focalizzare la questione attorno alla quale poter comprendere se lo schieramento delle forze armate russe sia compatibile con la normativa afferente all’intervento su invito in generale, che si concreta in un intervento militare di uno Stato nel territorio di un altro su richiesta di quest’ultimo – in questo caso del Kazakistan –, al fine di garantire esigenze di ordine e sicurezza e di poter continuare ad esercitare la propria attività governativa, cioè a dire che tale intervento per riportare l’ordine e la sicurezza interna, e al Trattato per la Sicurezza collettiva in particolare, e dibattere in brevis del regime di questa organizzazione, istituita per tutelare la sicurezza collettiva, se consenta all’esercito russo di poter dispiegarsi sul territorio kazako.
La crisi in Kazakistan non è solo un problema domestico o regionale, ma anche una questione che andrebbe approfondita in maniera chirurgica. Molto interessante è analizzare il ruolo dell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza collettiva – la controparte dell’Organizzazione Nord Atlantica o NATO – e la decisione del governo di Mosca di inviare le sue forze armate all’interno del territorio kazako, formate da forze speciali già utilizzate in passato in vari teatri di guerra, come la Cecenia, l’Ossezia del Sud e la Siria, intervento a guida russa che ha confermato il ruolo chiave di Putin come principale garante della sicurezza in Asia centrale, non solo ma anche constatare il ruolo che può giocare il diritto internazionale circa il criterio della legittima difesa collettiva fondata sui trattati internazionali.
L’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza collettiva, sorto sulle ceneri del Trattato stipulato a Tashkent nel 1992, che non prevede un vero e proprio sistema di legittima difesa collettiva, è un’alleanza regionale che, inter alia, ha una congettura abbastanza estesa alle missioni per il mantenimento della pace, fondate sulla piena cooperazione.
Come già accennato, il presidente kazako ha prontamente fatto appello all’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza collettiva di inviare forze aggiuntive per gerire e circoscrivere la crisi, e Mosca ha subito risposto, inviando i propri militari. Dalla sua istituzione, per la prima volta questa organizzazione ha fatto scattare le norme concernenti la protezione e sicurezza collettiva reclamate da uno Stato membro.
Mentre i governi di Mosca e di Nur-Sultan (capitale del Kazakistan) puntavano il dito nei confronti di attori esterni che avevano aizzato le proteste dei cittadini kazaki, senza tuttavia dare prova alle loro accuse, necessita intendere se l’invito del presidente kazako a forze militari straniere, per proteggere il Kazakistan da una eventuale e potenziale aggressione straniera, sia stato autorizzato dagli organismi dell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza collettiva.
Il trattato di cui si sta disaminando afferma che un atto di aggressione contro uno degli Stati membri sarà considerato un atto di aggressione collettiva contro tutti gli Stati membri dell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza collettiva, organizzazione regionale con propria personalità giuridica. Ciò che ha portato le autorità kazake ad appellarsi per un supporto militare straniero, ai sensi del Trattato, è stato quello di etichettare i manifestanti stranieri come dei veri e propri appartenenti a gruppi terroristici transnazionali.
Inoltre, sempre nel Trattato de quo, viene asserito che su richiesta di uno Stato vittima, altri Stati membri forniranno ogni assistenza necessaria, ivi quella di tipo militare e ogni altro mezzo a loro disposizione, in concerto con la Carta delle Nazioni Unite con riferimento al ben noto articolo 51, che tratta della legittima difesa sia individuale, che collettiva, riferendosi con quest’ultimo termine alla circostanza che la reazione a un attacco armato provenga non solo dallo Stato attaccato, ma anche da terzi, l’importante è che vi sia la richiesta e/o l’assenso dello Stato vittima di un attacco.
Difatti, la disposizione sancisce che «nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale (. . . )».
Quindi, si può sostenere che l’atto di legittima difesa, sancito nella carta onusiana, viene considerato lecito nella misura in cui risponde a un reale attacco armato.
La norma onusiana afferente all’autotutela individuale o collettiva, che può svolgersi solo fintantoché il Consiglio di Sicurezza, organo responsabile del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, non abbia adottato le misure necessarie per tutelare quel filo sottile della pace e della sicurezza su cui la società internazionale si poggia, è stato reclamato dal presidente kazako, il quale ha esercitato il proprio diritto di richiedere assistenza, poiché è il primo ministro dell’esecutivo kazako riconosciuto dalla comunità internazionale.
I criteri o elementi più comuni concordati per poter ricorrere all’invocazione del diritto di potersi difendere sono: l’attacco armato in corso o imminente, la necessità, con la quale si indica che la risposta armata deve essere la sola opzione possibile per difendersi, e la proporzionalità, che ne è il corollario, la quale va misurata rispetto alla modalità ed agli effetti della difesa. Gli ultimi due elementi, i quali sono inerenti specificamente all’autotutela collettiva, assumono il significato di principi generali che sono alla base e determinano, pertanto, il contenuto delle norme, generali e pattizie, del diritto dei conflitti armati internazionali.
Nella sentenza, ad esempio, relativa alle attività militari e paramilitari degli Stati Uniti in Nicaragua e contro il Nicaragua del 1986, i giudici della Corte Internazionale di Giustizia hanno affermato che «spetta allo Stato che è vittima dell’attacco armato formarsi e dichiarare l’opinione di essere stato attaccato», nel senso che nel momento in cui viene invocata la legittima difesa collettiva, ci si deve aspettare che lo Stato, a beneficio del quale tale diritto viene esercitato, si sia dichiarato vittima di un attacco armato.
Sempre l’organismo giudiziario internazionale, ha rilevato che «nel diritto internazionale cogente (. . .) non esiste alcuna norma che permetta l’esercizio della legittima difesa collettiva in assenza di una richiesta da parte dello Stato che ritenga di essere vittima di un attacco armato» concludendo pertanto che «la richiesta da parte dello Stato che è vittima di un preteso attacco» va ad aggiungersi al requisito che «tale Stato abbia dichiarato di essere stato attaccato» e pertanto rivolgere un’esplicita richiesta allo Stato terzo.
Ora, la questione che si pone è comprendere chi stia effettivamente attaccando il Kazakistan e da chi dovrebbe essere tutelata tale nazione. L’impiego dello strumento della legittima difesa collettiva in assenza di un concreto ed imminente attacco esterno non è enucleato nel Trattato per la Sicurezza collettiva e né il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev, né il Cremlino hanno fornito delle prove tangibili che dimostrino che lo Stato kazako abbia subito attacchi da parte di uno Stato terzo.
Conseguentemente, ci si pone anche il problema se la Russia presuma che i disordini interni all’interno del Kazakistan, supportate da attori esterni, siano considerati una minaccia alla sicurezza collettiva, ma queste ipotesi sono de jure rilevanti per la decisione di Mosca di dispiegare proprie forze militari in campo, per la prima volta, nel contesto dell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza collettiva.
Tornando alla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia, prima citata, i giudici hanno statuito, inoltre, che l’intervento è «ammissibile su richiesta del governo di uno Stato». La prassi degli Stati mostra che il principio di non intervento, considerato come parte del diritto internazionale consuetudinario, che si attiene principalmente al rispetto dell’integrità territoriale dello Stato, cioè a dire il diritto di ogni Stato sovrano di condurre i suoi affari senz’alcuna interferenza o ingerenza esterna, non inibisce talune operazioni circoscritte di truppe straniere su invito.
Vige, d’altronde, una discussione attorno alla questione della legittimità per invito a influenzare i conflitti armati non internazionali. L’intervento su invito o l’assistenza militare su richiesta, accompagnato dal consenso del sovrano territoriale è stato oggetto di una risoluzione dell’Institut de Droit International, adottata nella sessione di Rodi nel 2011, dove viene delineato e precisato che l’assistenza militare o per invito è vietata, qualora non sia conforme con le norme della Carta onusiana – si può menzionare l’autodeterminazione dei popoli, dei diritti umani, del principio di non intervento e via dicendo–, in particolare nel caso in cui l’obiettivo dell’assistenza sia quello di supportare il governo nella sua opera di repressione della sua popolazione civile.
Gli interventi o le operazioni militari all’estero, che si sono basati su inviti concreti o falsi da parte di governi o altri attori dello Stato territoriale, ad esempio, nello Stato iracheno e in quello siriano, dimostrano che il principio della legittimità dell’intervento a richiesta o per invito da solo non è un motivo sufficiente per intervenire, talvolta raggirando il criterio della legittima difesa, sancito dalla Carta onusiana, con la scusante che gli interventi erano coperti dalla richiesta su invito.
Si potrebbe considerare che, ad esempio, il Consiglio d Sicurezza dell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza collettiva si sia concentrato non sulla richiesta tramite invito presentato alla riunione dal presidente kazako, ma meramente sulla minaccia generale di un’aggressione esterna, che potrebbe compromettere la sicurezza collettiva dei sei Stati membri alleati.
Difatti, lo stesso presidente di turno del Consiglio di sicurezza collettiva, il Primo ministro armeno Nicol Pashinyan, ha dichiarato che «in concerto con l’appello del Presidente della Repubblica del Kazakistan Kassym-Jomart Tokayev e in considerazione della minaccia alla sicurezza nazionale e alla sovranità della Repubblica del Kazakistan causata, inter alia, dall’aggressione esterna, il Consiglio di sicurezza collettiva della CSTO, in conformità con l’articolo 4 del Trattato di sicurezza collettiva, ha deciso di inviare le forze collettive di mantenimento della pace della CSTO nella Repubblica del Kazakistan per un periodo di tempo limitato al fine di stabilizzare e normalizzare la situazione in quel paese».
Tenendo in secondo piano la legittimità dell’intervento su invito da parte del presidente kazako, ci sarebbe un ulteriore motivo in base al quale l’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza collettiva, in primis la Federazione russa, abbiano agito in maniera differente rispetto ai precedenti tentativi di mobilitare truppe militari dell’organizzazione in altri Paesi, ma questa, come ho già antecedentemente evidenziato, è stata la prima operazione di sicurezza attuata realmente da parte degli stati membri di questa organizzazione internazionale difensiva, a carattere regionale.
Si può menzionare che in passato vi è stato un tentativo da parte del Kirghizistan di aver richiesto l’intervento militare dell’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza collettiva per normalizzare le violenze nella regione meridionale e per aiutare a sedare gli scontri etnici tra uzbeki e kirghisi con l’invio di truppe.
Conseguentemente, l’allora presidente russo, Dmitry Medvedev, respinse la richiesta su invito sostenendo che si trattava di questioni puramente interne e che de jure non era possibile inviare forze militari dell’organizzazione, ma vi era la possibilità di offrire solamente l’assistenza umanitaria. È in queste circostanze che si determina il fatto che si sia verificato un attacco contro l’Organizzazione del Trattato per la Sicurezza collettiva.
Si pensi, ad esempio, alla Repubblica armena che, nel 2021, ha fatto appello all’organizzazione collettiva, puntando il dito nei riguardi della Repubblica azera di aver invaso il proprio territorio, attraversando diversi chilometri nelle sue province di Syunik e Gegharkunik e di aver tentato di rivendicare un lembo territoriale. In risposta, la Federazione russa presentava la proposta afferente all’assistenza e controllo sulla delimitazione e demarcazione delle frontiere armeno azero.
Tuttavia, si potrebbe ritenere che la situazione kazaka non ha nulla di diverso rispetto alla vicenda dell’Armenia, tranne gli interessi di profilo politico, nel senso che la decisione di schierare una forza regionale di mantenimento della pace è diventata l’ultima grande pietra miliare per lo spazio post sovietico, per cui una minaccia alla sicurezza nazionale del Paese in questione e dei suoi vicini giustifica l’intervento.
A prescindere dalle incertezze connesse alla legittimità dell’intervento per invito o richiesta a far fronte alle proteste che avvengono all’interno di uno Stato, senza nessuna aggressione esterna, c’è un’altra scappatoia mercé la quale la Russia cerca in ogni modo di intrufolarsi. L’Organizzazione di sicurezza collettiva include l’accordo o il protocollo concernente la forza di reazione rapida e forza collettiva di reazione operativa.
Questo protocollo consente azioni per contrastare il fenomeno del terrorismo transnazionale, la sicurezza delle strutture governative e militari ed ulteriori compiti determinati dal Consiglio di sicurezza collettivo, che comporta l’uso della forza di reazione per qualsiasi fine e della costante disponibilità delle truppe e dei mezzi del sistema di sicurezza collettiva. Le autorità di Cremlino hanno già fatto sapere che il loro compito primario concerne la protezione di beni e strutture di importanza nazionale.
Inoltre, il Protocollo addizionale determina che «se si decide di esercitare il diritto all’autodifesa previsto dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza collettivo ne informa immediatamente il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite», nel senso che in caso della decisione di dispiegare la forza militare di reazione rapida collettiva, l’organo esecutivo onusiano dovrebbe ricevere nell’immediato una nota verbale.
Conclusioni
Per concludere, è ben chiaro che la situazione è ancora in rapida evoluzione, per cui non si hanno sufficienti chiarimenti informativi disponibili per sostenere le affermazioni, secondo le quali la Repubblica del Kazakistan è sotto il giogo di gruppi terroristici stranieri presenti nell’ambito del proprio territorio, che vanno contrastati con ogni mezzo.
Come pure, non è chiaro in quale circostanza il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev abbia presentato la richiesta di essere supportato per calmierare le proteste, che, a parere dello stesso presidente, erano state organizzate da terroristi provenienti da Paesi terzi per destabilizzare l’ordine pubblico e la sicurezza interna.
Inoltre, va precisato che non sia possibile asserire che la presenza delle forze militari russe nel contesto territoriale kazako possa rientrare nella loro illiceità. È vero che il Trattato per la Sicurezza collettiva non statuisca l’opportunità di assistere lo Stato membro senza che vi sia stata un’azione aggressiva o un imminente atto di aggressione da parte di Stati terzi, ma l’accordo di forza di reazione rapida e forza collettiva di reazione operativa ammette il dispiegamento di truppe armate quando si raggiunge l’accordo unanime del Consiglio di sicurezza collettivo, che, d’altronde, come già si è visto in precedenza, vi è stato.
di Giuseppe Dr. Paccione
Dottore in Scienze Politiche
settore di studio politico-economico internazionale
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