Crisi In Ucraina: Una settimana di colloqui diplomatici di alto profilo tra Occidente e Russia non è riuscita a disinnescare le tensioni.
Una settimana di colloqui diplomatici di alto profilo tra Occidente e Russia non è riuscita a disinnescare le tensioni nell’Europa Orientale né a ridurre la minaccia di un’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina. Trattative sicuramente complesse in virtù delle aspettative completamente diverse dei partecipanti: da una parte, il blocco occidentale (costituito da Stati Uniti, NATO ed OSCE), il quale avrebbe voluto dissuadere il Cremlino dall’invadere l’Ucraina (attività espansionistica apparsa imminente nelle ultime settimane) e disarmare ogni eventuale minaccia di un confronto globale; dall’altra la Federazione Russa, che avrebbe voluto aprire un tavolo di trattative teso ad ottenere l’accettazione delle richieste di sicurezza (anche parziali) presentate alla controparte.
In base a tali richieste, Stati Uniti e NATO dovrebbero interrompere ogni tipo di attività militare in Europa Orientale e in Asia Centrale, concordando con il Cremlino un’ampia proposta con la quale stabilire un accordo di sicurezza. In cambio, Mosca si impegnerebbe ad effettuare tutte le attività necessarie per la de-escalation della crisi. I colloqui si sono conclusi senza ottenere un accordo utile alla risoluzione della crisi, mettendo in dubbio anche una futura ripresa dei negoziati diplomatici, in quanto i funzionari russi avrebbero annunciato di valutare l’uso di opzioni militari.
CRISI IN UCRAINA UNA STORIA ANNUNCIATA
Mentre la comunità internazionale attende la reazione della Russia al rifiuto totale di questa settimana delle richieste presentate da Putin, tutti gli occhi sono puntati sull’Ucraina. L’attuale crisi è iniziata nel novembre 2021, quando sono emersi i dettagli di una grande concentrazione di unità militari russe in aree vicine al confine terrestre con l’Ucraina. Questo dispiegamento di forze è continuato nonostante le diffuse richieste internazionali di de-escalation e gli avvertimenti che qualsiasi nuova offensiva militare comporterebbe sanzioni senza precedenti contro la Russia.
L’Ucraina è stato l’epicentro di un confronto crescente tra la Russia e l’Occidente dall’inizio del 2014, quando Mosca ha risposto alla rivoluzione ucraina filo- occidentale prendendo il controllo della Crimea in una fulminea operazione militare che ha sorpreso tutta l’opinione pubblica internazionale. L’acquisizione della Crimea ha segnato un punto di svolta nella storia europea moderna e probabilmente l’inizio di una nuova guerra fredda.
Dopo il successo della campagna di Crimea, Mosca tentò di orchestrare rivolte filo-russe nell’Ucraina meridionale ed orientale nel tentativo di dividere il paese e creare un nuovo Stato soprannominato “Novorossiya” (Nuova Russia) dal Cremlino. Tuttavia, questi sforzi sono stati in gran parte vanificati da un’opposizione locale inaspettatamente forte, lasciando Mosca in controllo di un’area relativamente piccola della regione del Donbas vicino al confine con la Russia.
I combattimenti nell’Ucraina orientale raggiunsero un picco di intensità nell’estate del 2014 prima di degenerare in una guerra di trincea lungo una linea del fronte statica di circa 400 km. Finora, il conflitto in corso ha causato circa 14.000 vittime ucraine e oltre mezzo milione di sfollati. I tentativi di mediare un accordo di pace sono stati ostacolati dal rifiuto della Russia di riconoscere il proprio ruolo nel conflitto.
Sia in Crimea che in Ucraina Orientale, Mosca avrebbe fatto affidamento a forze militari ibride composte da truppe convenzionali (senza simboli/insegne identificatrici del Paese di appartenenza), mercenari e collaboratori locali. Nonostante le prove schiaccianti del coinvolgimento russo, Mosca ha continuato a negare di essere parte del conflitto. A quasi otto anni dall’inizio del suo attacco all’Ucraina, Mosca rimane impegnata a costringere il Paese a rientrare nell’orbita del Cremlino.
Nell’estate 2021, Putin sottolineava la sua apparente ossessione per la questione ucraina pubblicando un saggio di 5000 parole sostenendo che russi ed ucraini sono “un solo popolo” e mettendo in dubbio la legittimità delle pretese di sovranità dell’Ucraina. L’attuale politica aggressiva russa al confine ucraino è l’ultima indicazione dell’importanza che il Presidente russo attribuisce alla prevenzione dell’uscita del Paese dalla sfera di influenza russa.
Pubblicamente, Putin stesso aveva affermato di agire in risposta ad una crescente minaccia alla sicurezza per la Russia rappresentata dall’approfondimento della cooperazione tra l’Ucraina e la NATO. I colloqui tra le varie delegazioni dell’ultima settimana sono stati anticipati da diverse conversazioni video e telefoniche avvenute nelle ultime settimane tra Joe Biden e Vladimir Putin, nelle quali sono stati concordati colloqui tesi a sviluppare le richieste delle due parti al fine di raggiungere un accordo congiunto per la risoluzione della crisi.
UNA AMMISSIONE DIBATTUTA
La disputa sull’ammissione dell’Ucraina nella NATO è un problema che si trascina “tra una crisi e l’altra” da circa 25 anni. Già nel 1997, l’ex Ministro degli Esteri russo Primakov annunciò ai suoi omologhi che l’eventuale decisione di ammettere l’Ucraina come membro della NATO avrebbe causato l’oltrepassamento di “quella linea rossa” che avrebbe potuto alimentare una crisi globale.
Quando, nel corso degli anni 2000, le offerte di ammissione di Ucraina e Georgia all’interno della NATO iniziarono ad assumere un carattere di fattibilità, l’opposizione del Cremlino diventò più esplicita, e si venne a creare un circolo vizioso. Infatti, più Mosca rappresentava la propria contrarietà alla citata ammissione, più l’Occidente negava alla Russia quello che era visto come un veto sul processo decisionale dell’Alleanza Atlantica: la discussione principale non ruotava più sull’opportunità di valutare l’ammissione di Kiev e Tbilisi all’interno della NATO, bensì sulla percezione che la Russia potesse influenzare la politica dell’organizzazione.
Gli eventi si susseguirono fino a raggiungere l’apice nel corso del vertice della NATO di Bucarest nel 2008, quando l’amministrazione Bush pose in essere una serie di sforzi per la concessione dei piani d’azione per l’adesione di Ucraina e Georgia, rappresentati dalle tabelle di marcia denominate MAP. Germania e Francia non erano però d’accordo, in quanto consideravano i due Paesi non pronti all’eventuale ammissione, mentre gli altri alleati spingevano per una decisione di contrasto alle pressioni russe.
Alla fine dei lavori, l’Alleanza decise l’adozione di un compromesso insolito, nel quale da una parte veniva annunciata la futura inclusione di Kiev e Tblisi (senza però precisare la reale tempistica esecutiva), e dall’altra non autorizzavano l’applicazione del MAP indispensabile per l’avviamento del percorso di ammissione nell’organizzazione. Una dichiarazione diplomatica nella quale non veniva fornita maggiore sicurezza all’Ucraina ed alla Georgia, ed al contempo veniva rafforzata l’opinione di Mosca secondo cui la NATO era determinata ad incorporarle.
L’affermazione che le due ex repubbliche sovietiche sarebbero diventati membri si trasformò successivamente in un dogma della NATO, soprattutto perché Mosca continuava a rappresentare la propria contrarietà in modo sempre più stridente.
LA CRISI VISTA DA MOSCA
Il Cremlino, come dichiarato in diverse occasioni, considera l’attuale architettura di sicurezza in Europa come inaccettabile e pericolosa per la Russia, in quanto manifesta una serie di strette relazioni militari, politiche ed economiche tra Ucraina e Occidente, quest’ultimo considerato dallo stesso Vladimir Putin come fondamentalmente ostile alla Russia.
Pertanto, l’assetto attuale verrebbe considerato pericoloso, non tanto per le attuali relazioni ma per il potenziale che potrebbe raggiungere: una forza combinata in grado di contrastare gli interessi russi con i Paesi confinanti o di destabilizzare la Russia stessa modellando un diverso tipo di regime. Pertanto, la possibile adesione dell’Ucraina nella NATO simboleggia quella problematica sulla sicurezza del confine occidentale russo, tante volte acclamata dal Cremlino, ma la problematica stessa è molto più profonda delle improbabili prospettive di adesione di Kiev all’Alleanza.
L’obiettivo che il Cremlino vorrebbe raggiungere è pertanto un rilassamento delle citate relazioni che attualmente esistono tra Ucraina e Occidente. Mosca, cosciente di poter esercitare solo una limitata influenza commerciale sull’Occidente, che non gli consentirebbe di imporre le proprie decisioni, nel tentativo di provare a fermare il percorso di integrazione dell’Ucraina verso l’Occidente, ha iniziato ad esplorare nuove opzioni coercitive, alternando l’uso della forza militare a minacce di aggressione “ibrida” per costringere l’Alleanza a ridurre al minimo l’impegno profuso nei confronti dell’Ucraina e/o a ridurre la stessa capacità di Kiev di ostacolare gli interessi regionali del Cremlino.
Europa e Stati Uniti, nel corso dei colloqui, hanno fornito a Mosca una informazione fondamentale: l’Occidente non combatterà e non morirà per l’Ucraina.
Con 100.000 soldati ammassati al confine ucraino, tale informazione fornisce alla Russia un vantaggio nei negoziati, poiché l’Occidente fa molto più affidamento sull’esito diplomatico della situazione rispetto alla Russia. Mosca pensa che Europa e Stati Uniti non rischieranno di scoprire se la risposta “tecnico-militare” minacciata da Putin sia un bluff, ma al contempo, anche la minaccia di sanzioni di vasta portata minacciata dal blocco occidentale potrebbe influenzare le prossime scelte del Cremlino, in quanto quest’ultimo ha minacciato un completo collasso delle relazioni tra Mosca e Washington qualora la minaccia sanzionatoria venga attuata.
Mosca spera di resistere all’impatto delle sanzioni, come aveva fatto nel 2014, e punta a cooperare ancora più strettamente con la Cina in ambito economico e finanziario, sapendo che questo rinforzerebbe la propria economia e renderebbe Washington nervosa.
LA CRISI VISTA DAGLI STATI UNITI
Il risultato inconcludente di una settima di lavori non è stata una sorpresa, in quanto entrambe le parti avevano chiarito le proprie posizioni prima dell’inizio dei colloqui, precisando che ci sarebbe stato poco spazio per un compromesso sulle questioni chiave che dominavano l’agenda. La principale richiesta della Russia era di garanzie ufficiali che l’Ucraina non avrebbe aderito alla NATO, la quale veniva respinta dai membri dell’alleanza come un “non titolare” in virtù dell’impegno di lunga data dell’Alleanza per una politica di adesione a porte aperte.
Mentre i colloqui erano ancora in atto, i Democratici del Senato degli Stati Uniti presentavano un disegno di legge per imporre nuove sanzioni radicali ai massimi funzionari governativi e militari russi, compreso il Presidente Vladimir Putin, ed alle principali istituzioni bancarie qualora Mosca continui le sue politiche ostili verso l’Ucraina.
La proposta di legge, sostenuta dalla Casa Bianca, dovrebbe includere disposizioni per aiutare a rafforzare la sicurezza dell’Ucraina e incoraggiare gli Stati Uniti a considerare tutte le misure disponibili e appropriate per garantire che il gasdotto Russia Germania Nord Stream 2 non diventi operativo. Il disegno di legge prenderebbe di mira anche le società in Russia che offrono sistemi di messaggistica sicuri, come SWIFT, che le banche utilizzano per scambiare informazioni chiave con altre istituzioni finanziarie. Successivamente al termine dei lavori, alcuni funzionari di Washington hanno svelato quella che potrebbe essere la nuova minaccia ibrida di Mosca, consistente nella creazione di provocazioni sul territorio ucraino da strumentalizzare come pretesti per avviare azioni offensive verso Kiev: il progetto russo prevederebbe l’applicazione di azioni di sabotaggio ed operazioni di intelligence, che consentano di accusare Kiev di voler preparare un imminente attacco contro le forze russe nell’Ucraina orientale.
Le accuse statunitensi sono arrivate nel corso di un attacco informatico contro l’Ucraina (per il quale si pensa che il mandante possa essere Mosca, ma al momento non esistono prove) che ha mandato in black out molti siti web governativi, e mentre venivano resi noti nuovi rapporti che attestavano il movimento di assetti militari russi dall’Estremo Oriente verso ovest.
Tali dichiarazioni sono arrivate dopo una settimana di colloqui infruttuosi tra Russia ed Occidente, in cui da una parte Mosca aveva chiesto garanzie che la NATO si sarebbe ritirata dell’Europa Orientale e che l’Ucraina non sarebbe mai diventata un membro della NATO, una richiesta che veniva respinta reiterando che la porta dell’Alleanza sarebbe rimasta aperta a nuovi membri.
L’unico risultato sicuro dei colloqui è stato un accordo sul fatto che le parti si continueranno a parlare per cercare di risolvere la crisi. In questi giorni tutti gli occhi sono pertanto puntati su Mosca e sui movimenti delle forze armate russe nelle regioni intorno all’Ucraina.
CONCLUSIONI
Ad oggi la diplomazia non è riuscita a disinnescare le pericolose tensioni geopolitiche sulla frontiera ucraina, in quanto Mosca crede che l’integrazione euro- atlantica di Kiev rappresenti una minaccia esistenziale per la Russia stessa ed è determinata ad invertire questo processo, anche se ciò significa un’escalation drammatica della sua campagna militare contro il Paese vicino. Putin ora dispone di una serie di potenziali opzioni da considerare che vanno da offensive localizzate, ad attacchi aerei ed informatici, ad un’invasione su vasca scala.
Appare il caso di evidenziare che le richieste presentate dal Cremlino risultano essere inaccettabili da parte della NATO, in quanto l’accoglimento delle stesse porterebbe alla creazione di una zona cuscinetto di sicurezza in tutta Europa e diminuirebbe la sicurezza nella parte orientale dell’area NATO.
Rappresenterebbe anche la base per un ritorno ad un ordine europeo in cui le grandi potenze possono richiedere zone di influenza esclusive in riferimento a rivendicazioni storiche e minacce percepite. La storia del ventesimo secolo in Europa fornisce ampie prove delle conseguenze fatali e destabilizzanti di tale politica di grande potenza in disprezzo dei desideri degli altri Paesi interessati.
Secondo quanto affermato da Mosca, l’attuale ordine di pace per l’Europa risulterebbe essere obsoleto e non supererebbe esami specifici: la Carta di Parigi del 1990 (firmata dall’Unione Sovietica) garantiva ancora l’integrità territoriale di tutti gli Stati partecipanti, riaffermando l’impegno a rinunciare alla violenza e dichiarando “uguale sicurezza” per tutti come principio fondamentale della sicurezza in Europa.
Da allora numerosi accordi sul rafforzamento della fiducia, sul disarmo e sul controllo degli armamenti sono diventati espressioni di questo consenso. In una prospettiva, elementi delle proposte russe per il ritorno a regimi di trasparenza militare o per specifici accordi regionali sul non dispiegamento di determinati sistemi d’arma potrebbero offrire interessanti spunti per ulteriori negoziati. Tuttavia, la maggior parte delle proposte della Russia riflette una rinascita del pensiero delle grandi potenze motivato geopoliticamente.
In questo contesto, ciò che dovrebbe preoccupare particolarmente l’Europa è che anche l’amministrazione Biden stia incoraggiando questo cambiamento epocale, almeno in termini formali. Stati Uniti e Russia hanno discusso i contorni dell’ordine di sicurezza europea a Ginevra senza la partecipazione dei Paesi europei e dell’Ucraina.
Non è di consolazione che poi Biden abbia cercato (con successo) di multilateralizzare formalmente il dialogo USA-Russia attraverso le riunioni della NATO e dell’OSCE. Questi hanno avuto solo un significato simbolico e non hanno tenuto conto dei veri input europei. Uno dei pochi politici europei che ha riconosciuto questo deficit e ha pubblicamente chiesto un ruolo europeo più forte è stato l’Alto Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza Josep Borrell.
Ma in materia di politica di sicurezza, l’UE ha un peso troppo limitato per essere ascoltata. Il silenzio dei membri europei della NATO è poi allarmante, nonostante le loro molteplici assicurazioni di voler rafforzare il pilastro europeo dell’Alleanza come forum di consultazione politica. La conclusione raggiunta alla fine della presidenza Trump secondo cui l’Europa non poteva più fare affidamento sulla leadership degli Stati Uniti – e avrebbe quindi dovuto difendere i propri interessi di sicurezza in modo più forte e indipendente rispetto a prima – sembrerebbe essere stata dimenticata.
Il compito non risulta essere facile, vista la polifonia degli Stati europei e i loro diversi interessi, ma l’Europa, senza un adeguato coordinamento delle posizioni di politica estera, rischia un’ulteriore emarginazione in termini di sicurezza internazionale.
Pertanto, la politica estera russa di questi giorni non sorprende gli addetti ai lavori, in quanto Putin vede la Russia come una potenza mondiale alla pari degli Stati Uniti. Gli Stati europei (sia come UE che come NATO) non sembrano avere alcun ruolo nei suoi piani di grande potenza e persegue attivamente una politica che porta alla loro divisione. Così Putin ha discusso le richieste russe che pongono fine all’espansione verso est della NATO con il presidente turco Recei Tayyip Erdogan, probabilmente per avere in Ankara un forte alleato e rendere più difficile il consenso della NATO.
D’altra parte, si sta imparando qualcosa di nuovo sulla politica estera degli Stati Uniti. L’adesione dell’amministrazione Biden ai colloqui (con i membri europei esclusi) è stata una concessione alla Russia che ha fornito peso politico e legittimità alle preoccupazioni di quest’ultima.
Questo dovrebbe preoccupare profondamente quegli alleati della NATO che da tempo temono (e non ingiustificatamente) di essere stati emarginati dagli Stati Uniti a favore di altre priorità. Un messaggio fatale è trapelato nel corso del primo giorno di colloqui a Ginevra: mentre Stati Uniti e Russia negoziavano tra loro quelle che potrebbero diventare le pietre miliari della futura architettura della sicurezza europea, i Paesi europei (diretti interessati) venivano solo marginalmente consultati da Washington.
Ciò ricorda il tipico “modus operandi” della Guerra Fredda e appare in netta contraddizione con l’annuncio di inizio mandato del Presidente Biden di un ritorno degli Stati Uniti a un multilateralismo “sostanziale”. I Paesi europei, se vorranno che l’Europa torni ad essere percepita come una potenza geopolitica e non diventi la pedina di grandi potenze rivali, dovranno cercare di rappresentare i loro interessi in modo più solido.
Sicuramente, una voce forte e chiara dal pilastro europeo della NATO sarebbe un inizio.
FONTI:
https://apnews.com/hub/ukraine
https://www.militarytimes.com/flashpoints/2022/01/12/nato-russia-in-high-level-talks-as-ukraine-tensions-simmer/
https://apnews.com/article/business-russia-ukraine-geneva-united-states-2654cdd8d85a40bcb4adbe9e50c02b2a
https://www.militarytimes.com/flashpoints/2021/12/08/russians-have-120000-troops-on-its-border-increased-intel-gathering-ukraine-ministry-says/
https://www.militarytimes.com/flashpoints/2021/12/16/all-out-war-or-creeping-occupation-among-putin-options-says-ukraine-mod/
https://foreignpolicy.com/2022/01/14/russia-provocation-war-pretext-false-flag-ukraine-eastern-us-intelligence/
https://www.mid.ru/en/press_service/minister_speeches/1793028/?TSPD_101_R0=08765fb817ab200033aa5d28a5180e431a4da7b2a58fb1c9316434e9086960994621fe9f47a06550083e5826241430005178b206c16937bae66abafd869984bfca2594b1bf1c1527bac509d9369e467840a7c125b17aabd091a15f3b86514029